Mauro Antonio Finiguerra, già appartenente al Foro di Melfi, soppresso nel 2013, ha ricevuto pochi giorni fa dal Coa di Potenza la Toga d’oro. Con lui altri quattro avvocati che svolgono la professione forense da cinquant’anni. Si tratta di Francesco Matteo Pugliese, Lorenzo Mazzeo, Nicola Edoardo Perri, Alfonso Salvatore e Giuseppe Spirito. Da mezzo a secolo a questa parte la professione è radicalmente cambiata e volgere lo sguardo al passato non è affatto un’operazione nostalgica. «Quando ho cominciato la pratica nello studio di mio padre Attanasio – dice al Dubbio l’avvocato Finiguerra -, mi veniva raccomandato di controllare e spillare le "veline" degli atti da depositare in Cancelleria e da scambiare con le controparti. Ora basta spingere il tasto 'invio' e in una frazione di secondo è tutto finito. All'epoca, poi, sfogliavo per ore le riviste e i repertori per fare le ricerche. Adesso si usa il motore di ricerca e in pochi minuti quello che serve è a portata di mano, senza il piacere di aver scavato tra i riferimenti sacrificando il gusto dell'intuito giuridico. È cambiato tutto non solo sul piano degli strumenti, ma, purtroppo, anche sul piano dei comportamenti nei rapporti tra tutte le componenti, avvocati, magistrati, collaboratori, clienti, del mondo giustizia in quanto sono diventati sempre più conflittuali, con punte di insofferenza sempre più insostenibile». L’avvocato Finiguerra ha ricoperto dal 1986 al 1994 la carica di Amministratore delegato del Foggia Calcio. Un’esperienza professionale ed umana esaltante, se si pensa alla scalata dei “Satanelli” dalla Serie C alla Serie A. Erano i tempi di Zeman in panchina, di “Zemanlandia”, termine finito pure nella Treccani, e del trio delle meraviglie Rambaudi-Baiano-Signori. Finiguerra è stato, inoltre, consigliere della Lega nazionale professionisti di Serie C. «La mia attività professionale – ricorda l’avvocato originario di Lavello -, dopo l'iscrizione nel marzo 1971 nel Registro dei Praticanti del Tribunale di Melfi, ha subito una svolta qualche mese dopo, allorquando a mio padre fu diagnosticata una grave malattia che in pochi mesi lo portò via e io mi trovai a mettere le mani nei fascicoli che erano pieni dei suoi appunti. Molte volte non li riuscivo a comprendere. In quel momento ho scoperto la più grande eredità che mio padre mi aveva lasciato: la rete di amici e di colleghi che gli volevano bene e lo stimavano». «Grazie a tale eredità, riuscii a superare le difficoltà del momento godendo dei consigli, nel civile, di Carlo Russo Frattasi, e, nel penale, di Achille Iannarelli e di Aldo Morlino. Di cause civili o di processi penali, vinti o persi, ce ne sono stati tanti. Il ricordo professionale più entusiasmante, però, anche per le conseguenze pubbliche che ha avuto, è legato a un processo davanti alla Giustizia sportiva nel quale nel 1986 difendevo, con Vincenzo Siniscalchi, la società Foggia Calcio, deferita perché coinvolta nel "Calcio scommesse", noto come "Totonero bis", salvandola, dopo una settimana di udienze avanti la Caf, riunita nell'Hotel Hilton di Roma, dalla retrocessione nella serie inferiore. L’emozione di sentire il presidente Vigorita leggere il dispositivo è indimenticabile». Negli anni l’approccio tra colleghi e magistrati ha subito mutamenti. «Il rapporto tra avvocatura e magistratura – commenta Finiguerra - è profondamente cambiato ed è sempre più conflittuale, ma ciò sembra quasi dovere essere una conseguenza naturale dei ruoli ricoperti. Mi auguro che nei rapporti tra i colleghi rimanga fermo il principio che, nelle contrapposte posizioni processuali, non ci sono avversari, ma solo leali contraddittori». Chi, nel corso degli anni, ha avuto modo di conoscere nel Tribunale di Melfi o in quello di Potenza l’avvocato Finiguerra ha potuto constatare la sua costante attenzione – per non dire predilezione - per i praticanti e per i giovani legali, impegnati in un lavoro che richiede tanta abnegazione. L’atteggiamento del maestro attento e premuroso. Un tuffo nel passato, ai tempi del Foro di Melfi e senza dimenticare le scellerate scelte di quasi dieci anni fa, quando vennero chiusi gli uffici giudiziari della città federiciana. «Quello della soppressione del Tribunale di Melfi – conclude Finiguerra - è stato il momento peggiore e più triste della mia vita professionale. Una riforma fatta, prima, sulla carta, senza tenere conto della storia e della tradizione, qualcuno aveva dimenticato le "Constitutiones" federiciane, ma anche della realtà di una delle maggiori zone industriali del nostro paese e della sua collocazione geografica ai confini con territori, diciamo così, vivaci. Poi, condizionata dai poteri politici dei quali il Vulture-Melfese era, ed è, purtroppo privo, e da strane alleanze trasversali che conseguirono il risultato di capovolgere il brocardo che !il più contiene sempre il meno!, accorpando il Tribunale di Sala Consilina, in Campania, a quello di Lagonegro, in Basilicata». Scelte che non hanno precedenti nella storia della giustizia italiana.