Che il tema della migrazione, dei richiedenti asilo, dei clandestini, sia un tema attuale che non può liquidarsi con slogans di respingimento o di accoglienza ideologicamente aprioristici, è un fatto. Come è un fatto che non si possono liquidare come rozzi individui i tanti italiani che stanno condividendo l’iniziativa del governo (non solo del ministro Salvini) di chiudere i porti. Questo consenso va analizzato con attenzione e in maniera non superficiale.

Troppe volte e da troppi anni in Italia siamo abituati a liquidare come incapaci di intendere e volere coloro che si sono determinati a condividere determinati programmi e obiettivi politici, anche se espressione della maggioranza del Paese.

Detto questo, dobbiamo ricordare al governo che il silenzio degli innocenti non esiste e non è mai esistito, che l’umanità abbandonata ha voce ed è la voce che spinge ciascuno di noi a reggere a fatica l’immagine di un bimbo piangente su di un gommone o ridotto a scheletro dalla fame, e di immagini non sostenibili dallo sguardo potremmo recuperarne tante dalla storia e dalla quotidianità.

È poi quella voce che ha fatto si che le civiltà si dessero regole di convivenza secondo diritto a tutela della pace sociale e in applicazione dei principi di eguaglianza e solidarietà. Questa voce suggerisce e insegna anche che la vita è una ruota che gira, che quel che sta capitando ad altri potrebbe capitare a noi, che potremmo essere noi ad avere bisogno estremo di aiuto.

Ora va bene ogni strategia politica, necessaria la rivisitazione di trattati, importantissima la lotta alla povertà degli italiani, condivisibile ogni sussulto di orgoglio nazionale di fronte ad ingiustificabili e odiose ingerenze esterne, ma parlare di vittoria per avere chiuso i porti agli aventi bisogno è senza dubbio sbagliato, ed è culturalmente pericoloso per le nuove generazioni.

Sarà proprio la voce degli innocenti a ricordare sempre e comunque che chiudere un porto a chi è in pericolo non è mai stato e non potrà mai essere motivo di vanto e di esempio e tantomeno una vittoria, e in ogni caso a farlo sarà la voce dell’avvocatura.