Si chiamava la centralità del Parlamento: era la formula istituzionale degli anni Settanta in poi, con la quale si riconosceva al Parlamento la esclusività delle istituzioni, posizionandolo al centro della costituzione. Poi venne la stagione della degenerazione del parlamentarismo, che si manifestò e si consumò nella partitocrazia quale spazio politico dominante, che finì per acquisire la vera centralità in luogo di quella costituzionale del parlamento.

Si chiama partitocrazia senza partiti: oggi è così, come una sorta di ossimoro istituzionale. Non è soltanto un problema di crisi dei partiti derivato dalla fine delle ideologie,: è piuttosto il tema riferito all’ampliamento del pluralismo politico, che trova altri canali per espandere la sua istanza nella società. I canali dove scorre il pluralismo politico faticano a contenere le istanze entro il perimetro parlamentare e si temono forme di tracimazione. Anche perché rispetto a un ampliamento dell’offerta di pluralismo politico è riscontrabile una crisi della rappresentanza politica, e quindi: il mandato a rappresentare la nazione, la responsabilità affidata a chi rappresenta, i partiti politici quali associazioni che rappresentano il corpo elettorale, l’esercizio della funzione legislativa e così pure la funzione di controllo. Ancora: la crisi della rappresentanza è altresì determinata dalla difficoltà di trovare una ragionevole sintesi tra il rappresentare e il governare. Pertanto, quale formula elettorale e di governo adottare per non comprimere la rappresentanza ma nel contempo valorizzare la governabilità.

La crisi della rappresentanza è anche crisi del rappresentato, che ha smarrito i suoi riferimenti politici e istituzionali. Vuoi per la liquefazione dei partiti, vuoi per la perdita di centralità del Parlamento, quale organo non più decidente; vuoi, ancora, per la scomparsa del rapporto fra rappresentante e territorio, e quindi la presenza dell’eletto quale espressione di un definito collegio elettorale. La rappresentanza politica ha poi abdicato ad altre forme rappresentative: quelle degli interessi, per il tramite delle lobbies; quelle territoriali, in virtù di un’accentuazione del decentramento politico e amministrativo; quelle di genere, che spingono verso una rappresentanza paritaria forzata attraverso leggi e norme costituzionali. E’ in crisi la delega a decidere: non rivendicabile sulla base di una rinnovata valorizzazione del principio costituzionale della sovranità popolare, ma piuttosto su una ( ancora) confusa forma di interventismo diretto, che vorrebbe trovare nel web la sua capacità di esternazione e di decisione.

Bisogna pensare a rilanciare il parlamento e il parlamentarismo, anche in previsione di una riduzione del numero dei parlamentari. Abbandonata per volontà referendaria la riforma del bicameralismo ( ed è stata un’occasione persa), da dimenticare l’ipotesi del voto a distanza, occorre valorizzare il parlamentare attraverso una scelta consapevole dell’elettore, che può aversi solo per il tramite del collegio uninominale.

Sapere chi votare consegnandogli la rappresentanza della nazione è fondamentale. Solo così si può ridare dignità e valore costituzionale all’istituto della rappresentanza, anche perché l’elezione uninominale comporta una piena responsabilità dell’eletto sulle decisioni e funzioni parlamentari. La funzione legislativa deve essere poca ma buona.

Poca, perché oggi si legifera in tanti luoghi e non solo in quello parlamentare ( dalle regioni alla UE, e poi le norme tecniche), e quindi a maggiore ragione ci deve essere una accorta selezione di ciò che davvero merita essere normato dal parlamento ( anche in sede di conversione dei decreti e nella delega). Buona, perché non è più tollerabile un pasticcio incomprensibile di leggi, con norme astruse e rinvii impossibili. Sarebbe ora che la Corte costituzionale dichiarasse illegittime le leggi oscure in contrasto, tra l’altro, con l’art. 54 cost sull’osservanza delle leggi. La funzione parlamentare di controllo deve essere puntuale nei confronti del governo, a beneficio della corretta conoscenza delle situazioni sociali da tutelare. Infine, la funzione elettiva. Qui si fa una proposta, che potrebbe essere sperimentata subito in occasione delle prossime elezioni dei nuovi membri delle Autorità delle comunicazioni e privacy. Si facciano delle audizioni pubbliche dei candidati, per il tramite delle commissioni competenti per materia in forma bicamerale. Ogni gruppo parlamentare presenti una rosa di tre nomi e li sottoponga a una valutazione comparativa del parlamento e dell’opinione pubblica. Così fanno nella repubblica presidenziale statunitense, così a maggiore ragione bisognerebbe fare nella repubblica parlamentare italiana.