Molti osservatori si sono stupiti per la dedica della messa di martedì di papa Francesco a Santa Marta, perché Dio ci conceda la grazia “della pazienza e dell’obbedienza”, per la sopportazione della pandemia e per il rispetto delle regole emanate dalle autorità. Ad alcuni è sembrato che così facendo il pontefice criticasse la censura fatta dalla CEI ai provvedimenti governativi annunciati lunedì, che non comprendono l’autorizzazione alla ripresa della celebrazione delle messe, sospesa da oltre un mese, pur con tutte le precauzioni che la diffusione del covid19 impone. Qualcosa di simile era capitato il 12 marzo, con la chiusura delle chiese romane ordinata dal cardinale vicario Angelo De Donatis, annullata su indicazione del pontefice per consentire ai fedeli, se non di partecipare alle liturgie, almeno di pregare nel raccoglimento di un edificio sacro.

Come un mese e mezzo fa, anche ieri l’attenzione di papa Francesco è stata tesa a puntualizzare la posizione della chiesa riguardo alla pandemia e ai provvedimenti conseguenti, non per smentire quanto fatto da altri, piuttosto per mettere a fuoco decisioni che si mantengono in sintonia con un percorso tracciato in modo netto. Alla base della impostazione dettata dal pontefice per la definizione della posizione della chiesa riguardo a numerose questioni si trova il netto rifiuto per il costantinismo, ossia la dipendenza, in qualunque modalità, della chiesa dal potere politico, anche nella forma di un sostegno senza contraccambio apparente.

La parola si riferisce all’editto del 313 d. C. emanato dall’imperatore Costantino, che concedeva ai cristiani la libertà di culto e che fu la prima tappa del percorso che nel 380 portò, con l'Editto di Tessalonica dell’imperatore Teodosio, alla proclamazione del cristianesimo religione ufficiale di stato.

Papa Francesco si è opposto a livello mondiale alla ricerca di garanzie o vicinanze politiche per la chiesa, intendendo così impedire ogni forma di compromissione, anche a rischio, in situazioni di tensione politica, guerra o persino persecuzione, di non ottenere dai governi locali protezione per le minoranze cristiane, rifiutando l’impiego della pressione politica, militare o economica, di cui l’occidente potrebbe disporre, quale strumento utile per la difesa dei valori della chiesa.

La conseguenza naturale di questo atteggiamento è l’obbedienza, paolina, al potere pubblico, accompagnata dalla richiesta di un pari trattamento per ogni culto e la riaffermazione del diritto alla pratica religiosa pubblica e sociale, intendendo con questo che l’esperienza del religioso non può venire circoscritta al privato e al domestico, ma deve potersi manifestare nel proprio naturale ambito comunitario.

Questa libertà non si pone all’interno di un sistema di scambio, non è l’esito di una contrattazione, rappresenta piuttosto il riconoscimento di un diritto connaturato alla espressione piena dell’essere umano.

Il dialogo della chiesa con le istituzioni non ha dunque la forma della trattativa. La regola fondamentale è quella dell’obbedienza, non della contrapposizione.

La Chiesa cercata da papa Francesco è umile, non aggressiva, non fa la voce grosse, manifesta una necessità e prega per ottenere una grazia. Per liberare il campo da ogni atteggiamento rivendicatorio, che potesse dar adito a una strumentalizzazione politica da parte di forze con le quali non si sente in piena sintonia, il pontefice ha chiarito che la richiesta di modificare le decisioni prese con atteggiamento forse troppo positivista - dimentico del fatto che l’uomo non vive di solo pane - non ha niente della sfida, della minaccia di una contrapposizione o di una protesta organizzata. Così che oggi, mercoledì, come precisazione ulteriore, papa Francesco ha dedicato la messa di Santa Marta all’unità d’Europa, forte del fatto che si tratta della festa di Santa Caterina, che d’Italia e dell’Europa è patrona.