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Il trapasso tra maggio e giugno ci propone una scena economica preoccupante. Ignazio Visco parla per la Banca dItalia il 31 maggio; Angel Gurría e Catherine L. Mann, per lOcse, il primo di giugno. Mario Draghi, Vítor Constâncio ed il Governatore Nowotny della Oesterreichische Nationalbank: un parterre che presenta a Vienna gli sviluppi della politica monetaria non convenzionale, dopo la riunione del Consiglio Direttivo della BCE e lincontro con la stampa estera. I giornali europei, nella stessa settimana, inondano di pagine le realizzazioni, esistenti ed in corso di sviluppo, del Piano Junker. Lo stesso Draghi cita il Piano Junker nel discorso pubblico che segue il Consiglio Direttivo. Una comunicazione che possa farci capire lo stato delle cose nel triangolo tra Unione Europea, Italia e resto del mondo.Ma andiamo con ordine. Il segretario generale ed il chief economist dellOcse indicano ai governi, ed ai policimakers, di agire ora per poter mantenere le promesse nei prossimi anni.Il mondo sembra stabile ma, in effetti la media è molto disturbata dalla varianza. La media mondiale, nella crescita anno per anno, parte dal 2014 con il 3,3%, continua con il 3% nel 2015 e nel 2016, ritorna al 3,3% nel 2017. Cè una soffice discesa per due anni ma al quarto anno torniamo al 3,3%. La varianza misura gli scarti dalla media e questi scarti si vedono. Larea euro è virtuosa, nel senso di una crescita crescente: 1% nel 2014; poi 1,6% nel 2015 e nel 2016; 1,7% nel 2017. La varianza, le deviazioni dalla media europea si leggono in Francia (0,6%; 1,2%; 1,4%, 1,5% ecco una crescita in salita moderatamente); in Germania (1,6%; 1,4%; 1,6%, 1,7% uno scivolo nel 2015 ma poi si riprende laggancio allarea euro); in Italia (-0,3%; 0,6% 1%; 1,4% fine della recessione profonda in cui era caduta ed una moderata e lenta crescita); in Spagna (1,4%; 3,2%; 2,8%; 2,3% salita e discesa ma più alta del 2017 per larea euro). Ci sono le economie emergenti: la Cina (7,3%; 6.9%; 6.5%; 6.2% discesa e ricorso al mercato domestico ma nel 2017 è il doppio del mondo); l India (7.2%; 7.4%; 7.4%; 7.5% crescita lenta ma continua). E per concludere lOcse (1.9%; 2.1%; 1.8%; 2.1% crescono più dellarea euro con una flessione nel 2016) ed i paesi non Ocse (4.6%; 3.7%; 3.9%; 4.4% scendono e risalgono come il mondo ma sono più in alto della media sul mondo). Insomma le economie emergenti sono sopra la linea della crescita mondiale nei prossimi quattro anni. Gli Stati Uniti ed Uk sono sopra il 2%, tra il 2014 ed il 2015, ma tendono a scendere su livelli anche sotto il 2%. Larea euro è sotto la linea media del mondo ma Polonia, Slovenia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca sono sopra la linea dellarea euro ed, in alcuni casi, anche sopra la linea media del mondo come tale. Ci sono troppe divergenze e questa dispersione riduce la possibilità di una crescita accelerata nel mercato mondiale.Le aspettative imprenditoriali diventano instabili e la percezione delle scelte da realizzare, per le famiglie e le imprese, genera incertezza, osservando le condizioni dellarea euro e delloccidente nel suo complesso. Mario Draghi ha scelto di agire, il 2 giugno, per due ordini di ragioni: perché doveva dare continuità ed incisività ai programmi presentati il 10 marzo e rafforzare gli strumenti per catturare gli obiettivi della politica monetaria non convenzionale; perché, sulla base delle analisi economiche che sono state valutate il 21 aprile ed il 2 giugno si possono capire le dinamiche del primo trimestre del 2016 e, su quella base, si devono rafforzare i progetti in corso: basta pensare allallargamento del Quantitative easing per le obbligazioni quotate, nel secondo semestre dellanno. Draghi, rispondendo ad un giornalista nella conferenza stampa, dice non vorrei usare la parola di una crescita fiacca dopo il primo trimestre di questo anno ma ho detto che potrebbe essere che il secondo trimestre ci consegni una situazione leggermente inferiore. Insomma non esiste allo stato né una chiara indicazione verso la crescita economica e, dunque, non esistono neanche le condizioni per un incremento dellinflazione. Le misure di politica monetaria, in atto dal giugno del 2014, hanno migliorato le condizioni di prestito per famiglie e le imprese,favorendo la ripresa delleconomia reale. La politica monetaria si fonda sulla stabilità dei prezzi e dei salari. Bisogna evitare una recessione che potrebbe ridimensionare la domanda e lofferta aggregata delleconomia europea ma non si deve governare il tasso di cambio. Le sue dinamiche sono una variabile e non uno strumento per la crescita. Ma Draghi espone anche una sua ulteriore innovazione, almeno letterale: Le politiche strutturali non dice le riforme strutturali sono essenziali. Sono essenziali perchè servono per gestire il mercato del lavoro e la capacità di competere, e per sviluppare laumento della produttività.Queste politiche strutturali devono essere una leva ulteriore per i Governi e per ciascuno dei Governi impegnati nel progetto europeo. Le politiche fiscali, e la politica monetaria non convenzionale, si saldano con queste politiche strutturali e rendono implicitamente la sensazione che esse siano riforme strutturali radicalmente economiche. Politiche per leconomia reale, aspettative e politiche monetarie sono le tre leve per dare coerenza allarea euro e per dare spazio alle convergenze necessarie perché la crescita sia possibile, e convergente, tra le due dimensioni delleconomia mondiale: le economie emergenti e le economie avanzate, che includono leconomia occidentale in una sua complessità. Il Piano Juncker è lulteriore tassello per riprendere la crescita attraverso gli investimenti, realizzati anche sul mercato dei capitali, che in questo modo impiega risorse finanziarie necessarie per il ripristino di una politica monetaria in cui si possano ritrovare crescita economica ed inflazione.La fragilità italiana, che abbiamo esaminato più sopra, è emersa anche nelle Considerazioni di Visco lette il 31 maggio: Nel 2015 leconomia italiana è tornata a crescere
Vi sono chiari segnali positivi, soprattutto per la domanda interna. Lattività economica rimane però lontana dai livelli precedenti la crisi; è soggetta alle stesse incognite che gravano sulleconomia globale ed europea. Lo stesso Visco ha spiegato linsieme dei problemi che il sistema bancario ha accusato. Ne emerge uno in particolare, lo squilibrio tra una molteplicità di imprese, dalle piccole dimensioni e dalla scarsa dotazione di capitale, e la enorme concentrazione delle banche italiane: i primi cinque gruppi bancari amministrano 1232 miliardi di crediti su 1990 che rappresentano il totale delle banche italiane nel 2015 (664). Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha indicato la necessità di trovare soluzioni finanziarie e dimensioni adeguate per le imprese italiane. Forse le banche dovrebbero, simmetricamente, trovare sia lo spazio per le grandi banche daffari alla scala mondiale, che la capacità di coltivare ambiti regionali, dove le banche locali possano ritrovare una relazione adeguata con le imprese di media e piccola dimensione.