Il linguaggio giuridico non può essere oscuro e incomprensibile. Federigo Bambi, professore di Storia del diritto medievale e moderno e di lingua giuridica nell'Università di Firenze (è anche accademico ordinario della Crusca) sottolinea l’importanza della chiarezza da parte degli operatori del diritto, senza tralasciare il delicato ruolo del legislatore nella redazione di testi che sono rivolti a tutti i cittadini.

Professor Bambi, il linguaggio giuridico e il linguaggio della legge quando sono incomprensibili appartengono ad un gruppo ristretto, per non dire una casta?

Talvolta può diventare il linguaggio di una casta. Ma attenzione. Quando si dice che il linguaggio giuridico deve essere compreso da tutti non dobbiamo semplificare questo concetto, perché tale linguaggio conserva sempre una sua tecnicità. Un linguaggio tecnico non può essere mai banalizzato, per cui certe parole del lessico giuridico, quelle che normalmente vengono indicate come tecnicismi specifici, dovranno necessariamente rimanere.

Tutto quello che invece può essere modificato per rendere comprensibile il linguaggio del diritto sono i paroloni che non servono a indicare un concetto tecnico, ma semplicemente ad alzare il tono del discorso. Ecco perché i giuristi, il magistrato, il funzionario dell'amministrazione della giustizia, l’avvocato, dovrebbero in ogni caso acquisire l'abilità nell’esprimere un ragionamento complesso nel linguaggio più chiaro possibile. Questa è un'attività che occorre svolgere sin dai primi anni di formazione. Sono molto utili a tal riguardo le iniziative che vengono svolte dopo. Penso a quelle della Scuola superiore dell'avvocatura. Anche noi a Firenze, da oltre dieci anni, organizziamo un corso di perfezionamento dedicato al linguaggio giuridico.

Ci troviamo nella situazione paradossale che parlare nella maniera più comprensibile possibile è diventato sempre più difficile?

Non è difficile. Basta abituarsi a farlo e basta poterlo fare. Il problema è che per tantissimi anni, per non dire sempre, non si è data, nella formazione del giurista, la giusta attenzione alla scrittura. La scrittura è il primo strumento tecnico del mestiere, prima ancora della conoscenza tecnica del codice e, come si diceva un tempo, delle pandette. Serve una capacità di scrittura. Purtroppo, mi riferisco pure alla mia esperienza universitaria negli anni Ottanta del ‘ 900, ho ripreso la penna solo per scrivere la tesi, dopo l’esame di maturità. Appena sono entrato nel mondo del lavoro e del diritto, appena ho cominciato a svolgere la pratica legale, mi è stato chiesto di scrivere un atto o un parere. Allora si imparava mutuando e copiando lo stile di chi ti dava degli insegnamenti.

Nell'avvocatura si seguiva lo stile del dominus e si imparava a scrivere come il dominus. Se mancava questo riferimento, il rischio era di essere prolissi, poco incisivi e, quindi, sotto questo profilo poco favorevoli a una vittoriosa conclusione della causa per il cliente. Il linguaggio giuridico si dovrebbe imparare nelle scuole di giurisprudenza. A Firenze ci siamo attrezzati in tal senso. Noto però che questa attenzione si riscontra anche in altre scuole. Spero che si possa proseguire così.

Non sono esenti dall'utilizzare un linguaggio astruso anche i magistrati nella redazione delle sentenze, che sono pronunciate in nome del popolo. Cosa ne pensa?

A parte la pronuncia formale “in nome del nome del popolo”, la motivazione, come sempre ci hanno insegnato, ha certamente una funzione endo- processuale, ma ha anche una funzione extra- processuale, perché deve servire a controllare come la giustizia viene accertata e devono essere gli stessi cittadini a effettuare questo tipo di controllo. Chiarezza e sinteticità sono due elementi che riguardano anche il lavoro del magistrato. L'obiettivo è di scrivere un ragionamento complesso con un linguaggio più chiaro possibile.

Il legislatore e i giuristi cosa devono fare per essere più vicini ai cittadini?

Dovrebbero fare una sorta di esame di coscienza e pensare sempre a chi è il destinatario del testo. Occorre commisurare la struttura del testo alle caratteristiche culturali del destinatario. Il giudice deve pensare all'avvocato e al cittadino che non sia fornito di nozioni giuridiche, perché se scrive in modo chiaro tiene conto pure di un obbligo di carattere deontologico. Se un giudice capisce rapidamente e non si incarta nella ricostruzione di un pensiero difficile, espresso in un atto dall'avvocato, decide più volentieri ed è più facile, a mio avviso, che vada incontro all'esigenza della difesa e delle parti.

Nell'epoca della scrittura sui social network rischiamo di passare da un eccesso all'altro, vale a dire da un linguaggio, sotto certi versi, ampolloso ad un linguaggio arido?

Bisogna fare estrema attenzione su questo punto. Semplificare, scrivere in modo sintetico e chiaro non significa banalizzare, soprattutto la sintesi e la chiarezza non coincidono con la brevità. Noi organizziamo spesso all'Accademia della Crusca alcuni corsi anche per i magistrati, dove nelle parti di laboratorio si analizzano, si ricompongono e si ricostruiscono sentenze già fatte e altri provvedimenti. Molto spesso un provvedimento breve non è chiaro. E bisogna intervenire su questo. Non dobbiamo però confondere la brevità con la chiarezza e la sinteticità. Sono concetti anche filosoficamente diversi.