HERITAGE ANALYST

SOCIOLOGO

Il 18 dicembre sul confine orientale d'Italia è accaduto qualcosa di visionario e con implicazioni profondamente politiche per il futuro dell'Europa. Era un confine serrato dalla storia recente, ma che si trova ora protagonista di flussi commerciali e migratori intercontinentali, come gli era sempre accaduto per naturale e plurimillenaria vocazione geografica: uno snodo concreto per osservare flussi delle conoscenza e come evolvono le identità nazionali.

In un passaggio d'epoca come quello che stiamo vivendo è sui confini che spesso si gioca la sopravvivenza di una idea di mondo ( o civiltà, se vi piace), ed è intorno ai confini che possono avvenire i fatti più interessanti.

Sul confine, su quella linea di variazione dei fenomeni che divide e allo stesso tempo suo malgrado mette in contatto, si vedono in tutta la loro forza le tensioni, le frizioni ma anche le prospettive e i disequilibri dinamici che riconfigurano i processi storici e sociali.

Vale anche per le nostre cellule, la cui sopravvivenza dipende dai recettori proteici presenti su quel confine poroso della vita che è la membrana. Recettori gravati del difficile incarico di correttamente identificare e selezionare cosa accogliere della caotica ma fertile gelatina extracellulare: «Ehi, quel che mi si avvicina è un virus che entrato al mio interno mi distruggerà, oppure è un fattore di crescita, o forse un vaccino che mi allena alla difesa, o soltanto uno stimolo al cambiamento?» Difficile capirlo sempre a priori, nel micro come nel macro universo le apparenze e le esperienze ingannano.

E vale al contempo per le società umane, per i loro “recettori sociali” così tanto più grandi, raffinati e complessi dei minuscoli omologhi cellulari, da sembrare talvolta persino dotati del dono ( apparente ?) della libertà. Caratteristiche indubbiamente apprezzabili, dal nostro punto di vista, ma che non necessariamente portano a scelte più efficaci ed azzeccate.

Noi siamo obbligati a dover sempre capire cosa cambiare e cosa salvaguardare, cosa accogliere e cosa rifiutare.

E' sul limes che in tempi di crisi si sono fatti nel bene e nel male tutti gli “imperatori” ( cioè, mutatis mutandis, le scelte di governo), è sul limes che si è plasmato il mondo nuovo ( non necessariamente migliore), è attraverso il limes, una linea che è anche un crocevia, che si è deciso che strada prendere. Di sicuro, quel che accade al confine conviene osservarlo bene, ed è per questo che le classe dirigenti sotto pressione ( se “ricettive”), in tempi di mutamento hanno sentito l'esigenza di spostare fisicamente presso i propri limes la propria capitale, contro ogni logica superficiale di sicurezza; è valso sia per i grandi imperi dell'ovest che dell'est, quando i palazzi hanno abbandonato le sponde del Tevere e del Fiume Giallo, divenute troppo lontane per udire le voci sul futuro.

Ebbene, lo scorso fine settimana, sul confine orientale d’Italia in cui oggi passano ignorandosi la rotta migratoria balcanica e i container della nuova Via della Seta, è accaduto che la cittadina slovena di Nova Gorica ( 13mila abitanti e prati ben curati) è stata nominata Capitale Europea della Cultura per l'anno 2025: titolo che per regolamento viene conferito ogni anno a due città appartenenti a due diversi Stati, membri dell’Unione Europea, con l’aggiunta ogni tre anni di una città appartenente a uno Stato candidato.

Nova Gorica ha battuto tutti i suoi connazionali: ha sconfitto la sua grande capitale Lubiana, ha superato la costa brulicante di turisti di Pirano accoppiata al porto di Capodistria, è stata preferita al fascino mitteleuropeo di Ptuj, dopo aver già sorpassato, alla prima selezione, le romantiche Kranj e Lendava.

Proprio così, ha vinto Nova Gorica. Ossia quel “piccolo quartiere” spaesato disegnato da un estimatore di Le Corbusier; quell’arioso boschetto punteggiato di rose e moderni rettangoli condominiali e spuntato dal nulla su un grande cimitero sbancato a mano da torme festanti di giovani pionieri delle magnifiche sorti collettive; quel terno secco di casinò scintillanti al neon, anch'essi in qualche modo inno visibile alle “magnifiche sorti”, seppur più prosaicamente, individuali.

Come ha fatto a vincere Nova Gorica? Come ha fatto a diventare Capitale Europea della Cultura con quei concorrenti? Ci è riuscita perché dentro un efficace proposta culturale di rigenerazione urbana ha osato spezzare il paradigma consolidato da 35 anni ( la prima Capitale a essere designata fu Atene nel 1985) per cui, ogni anno, il titolo ( coi finanziamenti e il conseguente ritorno di immagine) di Capitale Europea della Cultura viene assegnato a turno su base esclusivamente nazionale, secondo una concezione altamente egalitaria ma allo stesso tempo burocratica e reticente dell'idea stessa di identità europea.

All'Italia sarebbe dovuto toccare nuovamente solo nel 2033 ( l'ultima Capitale Europea della Cultura in territorio italiano, fu Matera nel 2019), mentre nel 2025, appunto, la capitale designata doveva essere slovena.

Invece Nova Gorica (“Nuova Gorizia”) si è candidata unita con la città di un altro Stato, per quanto si trattasse di sua “sorella”, divisa dai muri della storia; ha preparato con minuzia i suoi progetti insieme a Gorizia, la “vecchia” Gorizia, la “stara Gorica” che era stata per secoli, contemporaneamente ed elegantemente, neolatina, slava e germanica, quasi una Europa in miniatura.

I due sindaci Klemen Miklavic e Rodolfo Ziberna ( il secondo, fatto tanto più notevole, con alle spalle una storia familiare di profughi istriani), hanno per la prima volta rivoluzionato la “occhialuta” ( la Coscienza del buon Zeno di Italo Svevo ha proprio a Gorizia ha la sua illuminazione) prudenza redistributiva e spartitoria di chi persiste nell’immaginare gli Europei come incapaci di pensarsi, di vedersi e di sentirsi semplicemente come tali.

All'annuncio della vittoria, frutto anche del coraggio della Commissione giudicante, un boato di scomposta ( perciò autentica) e liberatoria esultanza ha attraversato il confine e la piazza Transalpina che ne è il simbolo, scacciando con la gioia il ricordo di tutti quei boati d'ordigno che hanno fatto di Gorizia, a partire dal Prima Guerra Mondiale, uno dei posti più tormentati della storia.

Per chi quella storia la conosce o l'ha subita, è stata una catarsi. Con questo nuovo abbraccio, si apre un palcoscenico di rilancio per due città straordinarie per vicende storiche, valore simbolico e conformazione ambientale ed architettonica; concepite ed auspicate ognuna, in epoche diverse dalla Belle Epoque al Secondo Dopoguerra, come città- giardino esemplari per qualità della vita.

Così, senza poter vantare i valori artistico culturali e il passato degli altri contendenti, ma con una chiara idea di che cosa può essere il futuro, Nova Gorica, l'inaspettata gemma urbanistica sbocciata per contrasto e mimesi sulla antica madre, con un gesto generoso ha battuto tutti.

E insieme, nel claim Go borderless!, Nova Gorica e Gorizia dimostrano cosa può essere l'Unione Europea. Toccava alla Slovenia avere una Capitale europea della cultura; ma se l'è guadagnata anche l'Italia. A pensarci bene per la prima volta, se l'è presa l'Europa, e basta.