Giuseppe Genna ha svolto sull'ultimo numero de L’Espresso una riflessione mirabile. Tanto che chi volesse cimentarsi con essa - come in questo momento fa il sottoscritto - corre il serio rischio di una semplificazione o peggio di una banalizzazione.

Credo che la questione fondamentale posta da Genna sia la seguente: che cosa sostiene un’azione giusta, soprattutto da parte di un uomo politico?

Un uomo politico che si trova di fronte e alle prese con le forze spurie, primordiali, caotiche e drammatiche della società e della storia.

L’azione giusta è sempre e comunque giustificata e motivata da principi morali oppure è quella che, guidata dall’intuito del genio politico e dalla conoscenza del “tempo giusto per ogni cosa”, conduce a sminare i pericoli e aprire prospettive nuove? Machiavelli ha risposto una volta per tutte a questa domanda, dimostrando non solo che il fine giustifica i mezzi, ma che l’azione politica è volta, soprattutto, a ristabilire le condizioni in cui le leggi morali e la retta coscienza dell’individuo possono reggere autonomamente una società armonica.

Giuseppe Genna conduce questa riflessione fino alla realtà italiana, individuando giustamente in Aldo Moro l’artefice di un genio politico capace di “tenere unito il molteplice, rallentare, accelerare, comporre”. Nel contesto di un Paese, l’Italia, attraversato da drammatiche tensioni internazionali, segnato da arretratezze storiche, dilaniato da forze oscure e dalla presenza del più potente partito comunista dell’Occidente.

Un genio politico che, dal carcere brigatista, profetizza, dopo la sua morte, “un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco” per il nostro Paese.

La linea di condotta di Aldo Moro, “fare della Dc una forza di mediazione di tutta la realtà politica e sociale italiana ivi compresa la sinistra”, è stata per lo più fraintesa, anche dai suoi interlocutori comunisti più avveduti, i quali si piegarono, anzi imposero l’infausta linea della fermezza.

A questo punto Giuseppe Genna introduce il concetto di centro, non come punto intermedia di una linea retta, bensì come centro di un cerchio. Mi ha fatto piacere che Genna abbia citato Gianni Baget Bozzo, che pochi oggi ricordano come una figura davvero importante del dibattito religioso, della cultura e della politica in Italia, il quale concepiva il centro in termini dinamici, come mediazione.

Certo, si potrebbe dire che questo concetto e soprattutto la pratica della mediazione, sottratta dal rigore intellettuale e morale di Aldo Moro e affidata al doroteismo democristiano, ha condotto anche alla piega del clientelismo, del consociativismo più deteriore e, infine, ad accumulare un enorme debito pubblico, che oggi pesa come un macigno sul nostro futuro.

Così come si potrebbe affermare con ragione che questo concetto di mediazione, di cui peraltro Franco Cassano, nel volume “Il teorema democristiano”, metteva in luce gli aspetti di autonomia rispetto alla sfera dell’economia, confligge alla lunga con un’autentica visione liberale dello Stato, del sistema politico e dell’economia.

Ma qui tocchiamo con mano le caratteristiche dell’Italia del dopo Moro, l’Italia violenta di tangentopoli, l’Italia volgare del berlusconismo, l’Italia della speranza fulminea rappresentata da Renzi e, in ultimo, l’Italia del governo più populista e sovranista d’Europa. Evidentemente se siamo finiti in questa situazione qualcosa non ha funzionato.

Di Aldo Moro rimane, però, come ricorda Genna, l’ispirazione “di una politica condotta, se non dal centro, in nome del centro stesso. E quel centro è la persona: il valore dell’inalienabilità della persona da se stessa e da tutto ciò che il fenomeno umano produce”. La vera rivoluzione per Aldo Moro è la metanoia, una rivoluzione interiore attraverso cui l’umano si arricchisce e di trasforma, diventando il perno solido di un cambiamento reale e duraturo. In fondo, ciò che auspicava anche Machiavelli, anche se quando cadono queste solide strutture morali diventa imprescindibile farsi guidare dal dovere, di cui ha parlato Marco Damilano, che consiste in qualcosa di “trascendente che supera anche le leggi dell’uomo, imparziali o addirittura ingiuste”,