Quelli di abbattere statue, imbrattare e rimuovere monumenti, decapitare busti ecc. sono fenomeni ricorrenti nella storia passata e in quella presente.

Specialmente durante fasi rivoluzionarie contro dittature o passaggi di regimi tirannici, ma semplicemente anche in presenza di movimenti collettivi di ispirazione religiosa. Si pensi ai seguaci di Savonarola a Firenze e ai roghi di libri e di gioielli. Oppure all’abbattimento delle grandi statue di Budda da parte degli integralisti islamici in Afghanistan o al disastro della distruzione dei resti archeologici di Palmira.

Gli storici hanno sempre studiato questi fenomeni di esplosione di rabbia o di fanatismo religioso o ideologico così come hanno studiato il significato dei movimenti o la costruzione dei miti oppure le manifestazioni dell’iconoclastia religiosa, persino il senso delle grandi architetture religiose.

Quanto è avvenuto in passato, così come avviene oggi, sotto i nostri occhi, va contestualizzato, compreso e decodificato. Nel senso che si tratta di simboli e, quindi, di messaggi che hanno un valore sia quando vengono eretti o rappresentati, così come quando vengono abbattuti, distrutti, imbrattati.

Capire è il miglior modo per prendere le distanze, ma capire non vuol dire giustificare oppure tacere dei rischi che dall’iconoclastia si passi alle barbarie. Dal momento che ciò che oggi accade negli Stati Uniti e nelle imitazioni londinesi e milanesi richiede una riflessione più impegnata ed un giudizio severo, anche da parte di coloro che operano nel sistema informativo e nella comunicazione.

Bisognerebbe riuscire, almeno nei regimi democratici, a trasformare l’ondata iconoclasta e il fanatismo in tema di riflessione storica, ma anche di studio dei gesti e delle manifestazioni con spirito più libero e attento, senza compiacimenti e senza troppo lisciare il pelo per non apparire “reazionari”. Cosa che stanno facendo da Facebook a Twitter che lisciano il pelo a qualsiasi movimento per paura di gesti di sabotaggio contro i grandi inserzionisti che usano la rete.

Secondo l’ormai convenzionale uso del politicamente corretto.

Ripensare, riflettere, decodificare, dibattere sono buone pratiche della democrazia.

Ma l’intolleranza, quando è mossa da ideologie rozze e totalitarie è molto pericolosa in sé e per sé, ma anche per la reazione che può provocare.

Infine, le minoranze non possono imporre con la violenza la loro lettura della storia alle maggioranze.

Fanno violenza al pluralismo delle idee, ma soprattutto fanno violenza alla storia, che è sempre complicata e conflittuale, ma che non sopporta letture troppo semplificate, come è avvenuto con il marxismo, o ancora prima con la scolastica medievale. Il mondo di oggi ha visto cadere troppe “ideologie assassine” nel ‘ 900, per sopportarne delle altre ancora più rudimentali oppure spettacolari, ma allo stesso tempo stagionali, come le mode sul taglio dei capelli, o delle barbe.

Infine, nel mondo globalizzato siamo costretti a convivere e, per convivere, occorre accettare la diversità e condannare l’intolleranza anche per la “storia” che non ci piace.

Perché la storia è contraddizione e complessità, ma soprattutto capacità di comprendere i fatti e gli uomini del passato.