«Ci sono due leggi molto importanti in Italia che parlano di dolore. Eppure il dolore rientra tra quei tabù che il nostro paese non riesce ad abbattere». Ne parla tra i pochi l’avvocata Anna Berghella nel suo libro “Il dolore invisibile. La sottovalutazione delle malattie femminili e delle patologie croniche” (Corsiero Editore, pp. 128, disponibile su Amazon). Esperta di diritto di famiglia, e responsabile di CamMiNo (Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni) per la Regione Abruzzo, Berghella scrive del dolore con un preciso obiettivo: ricordarci che chi soffre, sia in forma cronica che terminale, ha diritto a trovare sollievo.

Avvocata Berghella, ci parli di queste due leggi.

La legge sul testamento biologico, in vigore dal 2018. E la n. 38 del 2010, che ha istituito i centri per il dolore: ambulatori dove il medico può indirizzare il paziente che soffre in maniera cronica per trovare una cura specifica. Due leggi finite un po’ nel dimenticatoio, purtroppo: l’Italia ha una normativa di alto livello, ma riesce a disattenderla.

La legge 38/ 2010 “sancisce il diritto di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore di ciascuno”. Qual è la differenza?

Le prime riguardano il malato terminale, quando le uniche cure che possono essere attuate sono di sollievo dal dolore. La terapia invece aiuta chi ha una patologia cronica a considerare il dolore stesso come malattia. Ecco perché questa legge molto semplice è così importante: perché parlare di dolore non sia tabù, e perché ognuno sappia che ha diritto a non soffrire.

Qual è il “dolore invisibile” di cui parla nel suo libro?

Mi riferisco al dolore cronico e al dolore delle donne, che è stato sottovalutato sia da un punto di vista scientifico che culturale. Nella sperimentazione dei farmaci, ad esempio, la differenza tra uomo e donna è stata inserita solo dal 2016. E c’è ancora quel concetto atavico, difficile da scardinare, per cui la “donna sopporta di più”. Ci sono delle patologie croniche che afferiscono proprio al genere donna - come l’emicrania, la fibromialgia, la vulvodinia, l’endometriosi - che vengono sottovalutate.

Perché?

Il dolore della donna viene sminuito anche dai medici. E quindi prima di arrivare a una diagnosi passano anni di sofferenza, durante i quali ti fanno credere di essere pazza. Oppure stressata. Così quel dolore diventa segreto, oltre che invisibile. Con il mio libro tiro fuori questo scheletro dall’armadio, perché se ne parliamo possiamo davvero fare un passo avanti.

Lei scrive da giurista, ma affronta la questione anche da un punto di vista personale, biografico.

Sono un’avvocata in una famiglia di medici, tutti di ginecologia e ostetricia, e il “dolore del parto” è qualcosa che mi ha sempre molto impressionato. Basta pensare che il 99 per cento dei parti in America avviene in analgesia, mentre da noi, a Pescara, bisogna espressamente chiederlo e sperare che ci sia il personale a disposizione. Oppure “partorirai con dolore”...

Qualche mese fa si è discusso del congedo mestruale per le studentesse, dopo l’iniziativa di un liceo che ha aperto la strada a questa possibilità. Cosa ne pensa?

La sottovalutazione delle questioni femminili comincia proprio dalla scuola, a partire dal mal di testa che viene considerato diversamente a seconda che si tratti di un ragazzo o di una ragazza. Quindi ben venga. Parità di genere non vuol dire che siamo uguali. Siamo ben diverse e se c’è una problematica è bene metterla in campo.

Diritto alla salute e professione. A che punto è quella forense rispetto alla tutela delle fragilità di genere?

Abbiamo buone leggi che non applichiamo. E sicuramente si potrebbe fare molto di più, per le professioniste. A parte qualche iniziativa sporadica sul territorio nazionale, noi professioniste autonome non siamo tutelate. Credo che sia importante parlarne, e che le donne prendano coscienza di questa fragilità legata al dolore.

Nella prefazione al libro Ignazio Marino scrive che il dolore di cui lei parla “supera l’accezione puramente fisica del problema” per raccontare delle “sofferenze che dal corpo passano all’anima, straripando nella dimensione sociale, giuridica, perfino politica, sempre anche psicologica”.

Mi ha stupito il fiume di persone che mi hanno contattato dopo aver letto il libro, perché si sono riconosciute in queste pagine. Hanno cominciato a raccontarmi del loro dolore “inconfessato”, e di come questo gli abbia condizionato la vita. Ecco, finché avremo questa necessità di nascondere il nostro dolore rimarremo sempre un passo indietro.

Il tema del dolore ha a che fare anche con il fine vita.

La legge prevede che la dignità della persona debba essere salvaguardata ponendo il paziente in reparti separati, gli hospice, dove i familiari possono accompagnarlo nel fine vita, anche attraverso le curie palliative e la sedazione profonda. Che nulla hanno a che fare con l’eutanasia. Una legge che rende giustizia al nostro essere, e al nostro andarcene con dignità.