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La domanda è legittima e la risposta - a seconda dei punti di vista e dei desideri di chi se la pone - risulta al tempo stesso allarmante e disarmante: entrambi, e contemporaneamente. I due Renzi convivono e si giustappongono: solo il verdetto elettorale - quello nazionale, non il responso siciliano del prossimo 5 novembre che sarà significativo ma non conclusivo - scinderà definitivamente il leader pd- Jekyll dall’ex premier- Hyde. La realtà è che Renzi, a modo suo e con infinite circonvoluzioni, comincia a prendere atto della - stavolta sì - contraddizione che si sta concretizzando con il via libera al Rosatellum.
La riforma elettorale che il Senato si appresta a licenziare in via definitiva, infatti, concepita con l’obiettivo di favorire le coalizioni sconta una situazione paradossale visto che due dei tre principali soggetti politici non appaiono in grado di imbastire alleanze: i Cinquestelle in quanto le rifiutano in via pregiudiziale; il Pd perchè, a parte i centristi di Ap (e forse neanche tutti), non trova nessuno che voglia allearsi con lui. Si tratta di un’incongruità talmente vistosa da risultare sbalorditiva. E che impone un’altra domanda: perchè il capo del Nazareno si è infilato in un’impresa portata a termine perfino a colpi di voti di fiducia, che al dunque invece di favorirlo minaccia di finire col danneggiarlo?
Qui la risposta è più semplice, seppur con qualche tinta bislacca. Bisogna tener presente, infatti, che Renzi continua a coltivare l’obiettivo del 40 per cento di consensi. Nonostante i sondaggi gli accreditino dieci punti in meno e in taluni casi lo diano per secondo superato dal M5S, l’ex sindaco non considera quel traguardo inarrivabile: tutt’altro. Al massimo lo indica come bersaglio massimo per poi planare su un, a suo avviso, più realistico 33- 35 per cento. Con quel bottino, il leader pd è sicuro di potersi sedere con in mano le carte migliori di tutti - quelle per capirci che dovranno costringere i suoi interlocutori, da Berlusconi a Salvini, a più miti consigli - al tavolo della trattative per la formazione di una maggioranza che poi esprima un governo.
Tuttavia è anche impossibile non considerare che nel mentre Renzi coltiva le sue ambizioni girando in treno il Paese, il piano degli equilibri politici complessivi si inclina sempre più a favore della coalizione di centrodestra. Berlusconi ormai la considera cosa fatta, considerando che i falò elettorali che ardono in giro per l’Europa consigliano vivamente di riporre nel cassetto qualunque disegno di grande coalizione e comunque di intese, sia esplicite che sotterranee, con la sinistra.
E’ per questo che Renzi lascia aperta la porta al dialogo con Pisapia e con i fuoriusciti di Mdp: una volta chiuse le urne e misurati i rispettivi rapporti di forza, si vedrà qual è la rotta da seguire. Lasciando intendere che la poltrona di palazzo Chigi è contendibile. Si spiegano così i reiterati appelli di Walter Veltroni all’unità della sinistra: bene prezioso ma quanrto mai rarefatto. Ma sicuramente l’ex sindaco di Roma è vissuto come molto meno divisivo dell’ex premier.
E’ una traiettoria che sconta una massiccia dose di spregiudicatezza e che infatti lascia, per dirla eufemisticamente, piuttosto freddi quelli di Articolo 1; mentre Campo progressista non riesce a trovare la quadra tra chi punta ad un accordo con il Pd tout court e chi alza il tiro ( e il prezzo) di una possibile intesa. La premiership è un piatto ghiotto: tuttavia Pisapia non ci tiene a replicare Tantalo, visto che si tratta di una poltrona che è impossibile afferrare senza che anche Bersani e D’Alema siano d’accordo.
Insomma Renzi ritiene di essere un giocoliere talmente abile da voler tenere aperti non due bensì addirittura tre forni. Quello dell’unità a sinistra di fatto è fittizio, lo sanno tutti. Ma murarlo fin da subito può rivelarsi un boomerang: perchè farlo?