Si sono diffuse nei corridoi parlamentari voci su un Matteo Renzi davvero di buon umore, a dispetto della rappresentazione mediatica che se ne fa per via delle polemiche riscatenatesi sull’affare Etruria- Boschi con l’audizione del presidente della Consob alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche.

A ringalluzzire il segretario del Pd non sarebbero state tanto le notizie provenienti dal fronte giudiziario romano della Consip, dove sta emergendo sempre più chiaro il depistaggio delle indagini tentato contro di lui, quanto gli infortuni di Pietro Grasso. Il cui approdo alla guida dei Liberi e uguali era stato speso dagli scissionisti del Pd come un mezzo scacco matto sullo scacchiere elettorale proprio contro l’ex presidente del Consiglio.

Insorti con dichiarazioni e quant’altro per la mancata rinuncia di Grasso alla presi- denza del Senato dopo l’uscita assai polemica dal Pd e l’assunzione di un ruolo molto di parte, gli amici hanno avuto da Renzi l’invito a calmarsi per lasciare cuocere l’antagonista nel proprio brodo.

Non hanno certamente giovato a Grasso quelle pur poche ore in cui sul sito internet del Senato la figura del presidente è rimasta affiancata al logo delle liste che lo hanno adottato come capo: un logo amaranto come la vecchia Topolino della Fiat entrata nelle canzoni e nella letteratura.

Né hanno giovato a Grasso le indiscrezioni, comparse sui giornali, di un presidente della Repubblica imbarazzato, e persino tentato da un maggiore monitoraggio della propria salute, nel timore di doversi avvalere della supplenza del presidente del Senato nella campagna elettorale.

Ma soprattutto a Grasso è capitato di finire tra le parrucche e i trucchi di Maurizio Crozza, che ne sta facendo impietose imitazioni televisive. Delle quali fecero le spese nella campagna elettorale del 2013 Antonio Ingroia e Pier Luigi Bersani.

Ingroia, un altro ex magistrato approdato in politica come Grasso, non riuscì neppure ad affacciarsi al Parlamento con i suoi progetti di rivoluzione civile. Bersani uscì dalla campagna elettorale, in cui era entrato col vento che soffiava forte sulle sue vele, perdendosi per strada le spazzole messegli nelle mani da Crozza per pettinare le bambole grilline e smacchiare il giaguaro Silvio Berlusconi. Che per poco, ma assai poco, non riuscì addirittura a sorpassare col centrodestra la coalizione guidata dal segretario del Pd con la stessa allegria o spensieratezza di Achille Occhetto 19 anni prima, nel 1994.