Mariastella Gelmini, senatrice di Azione, giudica «carente» la manovra del governo su sanità e scuola, ma si dice soddisfatta dell’approvazione dell’emendamento da 40 milioni delle opposizioni contro la violenza sulle donne.

Senatrice Gelmini, è soddisfatta dell’approvazione dell’emendamento in manovra contro la violenza sulle donne?

C’era un tesoretto di 40 milioni di euro e l’opposizione ha fatto la scelta giusta di concentrarlo su un unico obiettivo, che è la lotta contro la violenza sulle donne. La maggioranza invece aveva a disposizione 60 milioni e ha fatto scelte diverse. Azione aveva proposto a mia prima firma, ma assieme ai colleghi Marco Lombardo e Giusy Versace, degli emendamenti sul tema, perché a livello legislativo è stato fatto molto, dal codice rosso a quanto cominciato con il governo Draghi e poi confluito nel ddl Roccella, ma dall’altro lato mancavano le risorse.

Gli ultimi casi di femminicidio hanno influito sulla scelta?

La scelta è stata condivisa dalle opposizioni e l’impatto emotivo della morte atroce di Giulia Cecchettin ha avuto un peso. Tuttavia la nostra decisione nasce anche da un’altra considerazione, non solo rivolta a Giulia Cecchettin e alle tante vittime di violenza, ma anche come senso di riconoscenza verso le tante volontarie e operatrici che nei centri antiviolenza e nelle case rifugio da tempo colmano vuoti lasciati dallo Stato. Ad oggi queste strutture vivono soprattutto grazie alla gratuità e all’impegno di tante persone che ci credono e che versano i loro sacrifici, le loro risorse e il loro tempo in questa attività. Ora è giusto che sia lo Stato ad impegnarsi, andando incontro ai bisogni.

Pensa che oltre alla violenza di genere ci siano altri temi sui quali è possibile una dialogo tra maggioranza e opposizione?

Dovrebbe rivolgere questa domanda più alla maggioranza che a noi. Come Azione ci siamo dati un metodo, che è quello di valutare le proposte non in base a simpatia o antipatia del proponente, ma alla qualità del contenuto. Non facciamo sconti alla maggioranza, basti pensare che reputiamo il provvedimento sui rave party una forma di populismo penale, tanto da aver votato contro, ma non abbiamo avuto esitazioni a votare per esempio provvedimenti di politica estera in cui Meloni è in continuità con Draghi, come sull’Ucraina. Ci sentiamo svincolati dalla logica delle appartenenze. Avevamo presentato nostre proposte su industria 4.0, sulla scuola, sulla sanità per abbattere le liste d’attesa. Non ci hanno dato ascolto.

Come giudica la manovra, a proposito di sanità e scuola?

La trovo carente. Se c’è questo fondo da 40 milioni contro la violenza sulle donne lo si deve a una scelta delle opposizioni, così come si deve a una scelta condivisa dalle opposizioni il fondo da 35 milioni per i malati di alzheimer. Sul fronte della sanità, in termini reali i tre miliardi in più che il governo ha stanziato non coprono neppure l’inflazione. E quindi non c’è quell’investimento in sanità che per la verità sarebbe stato possibile solo utilizzando entro dicembre dell’anno scorso il Mes sanitario, che ormai è scaduto. Le liste d’attesa sono interminabili e costano agli italiani ogni anno svariati miliardi di euro. Per quanto riguarda l’istruzione e la formazione nella manovra non c’è sostanzialmente nulla. Avevamo proposto misure per le zone socialmente complesse come Caivano, ma non sono state accolte.

Meloni insiste molto sulla famiglia: siete soddisfatti delle misure in manovra?

Sul fronte della famiglia, non neghiamo che il governo abbia investito delle risorse, ma la proposta di decontribuzione aggiuntiva per madri con almeno due figli copre una platea molto bassa di donne lavoratrici. Se la stessa cifra fosse stata messa sull’aumento dell’assegno unico per tutte le donne lavoratrici, non solo per quelle dipendenti e con almeno due figli, la platea sarebbe stata molto più ampia. Queste risorse andranno a coprire solo lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato, ma lasciano scoperte le lavoratrici dipendenti a tempo determinato, le lavoratrici con partita Iva e le lavoratrici autonome. Mi dispiace che proprio un governo di destra abbia penalizzato le lavoratrici autonome.

Per un attimo era sembrato che sul salario minimo si potesse trovare un’intesa tra maggioranza e opposizioni, poi è saltato tutto: crede ancora nel dialogo sul tema?

Sul salario minimo c’era stata un’apertura che però ha portato a ben poco. Il fatto che l’occupazione sia in crescita è positivo e non bisogna negare la realtà, ma c’è un problema legato ai salari, con tre milioni e mezzo di lavoratori pagati al di sotto del minimo salariale. E quindi penso che la proposta di un salario minimo per legge, contenuto nelle normativa di tanti paesi europei, fosse giusta e mi aspettavo un’apertura concreta da parte di Meloni e della maggioranza. Ci batteremo in Parlamento perché possa passare, è un tema che non può essere accantonato.