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«Con la creazione di Forza Italia Berlusconi ebbe il merito di impedire che il potere passasse nella mani di comunisti e pm di Mani Pulite». A trent’anni dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, Fabrizio Cicchitto ripercorre il clima di quei mesi e il percorso politico che lo portò, nel giro di pochi anni, a diventare uno dei più stretti collaboratori del Cavaliere.
Trent’anni fa, quando fu fondata Forza Italia, lei era ancora un Socialista vecchio stampo. Cosa rappresentò per lei la “discesa in campo” di Berlusconi?
Tutto partì con Tangentopoli, e con Berlusconi che salvò la pelle abbandonando Craxi al suo destino e mettendo le sue televisioni a disposizione del Pool di Mani Pulite. A dimostrazione di quanto esso faceva politica basti vedere come tra il ’ 92 e il ’ 93 Berlusconi non fu sfiorato da un avviso di garanzia. Possiamo dire che le sue tv chiudevano il cerchio, aperto dalle famose telefonate delle 19 tra i direttori di Corriere, Stampa, Repubblica e Unità per coordinare le notizie da far uscire il giorno seguente con arresti, perquisizioni, avvisi di garanzia. A un certo punto Berlusconi si accorse che la distruzione dei tradizionali partiti di governo della Prima Repubblica apriva una prateria al centro. C’era uno spazio enorme per moderati, liberali, socialisti riformisti e persone non politicizzate che rifiutavano la ventata giustizialista e la vittoria di quelli che fino a un attimo prima erano stati comunisti.
E in un attimo si arrivò a quel «L’Italia è il paese che amo...». Cosa pensò di quella scelta?
All’epoca Gianni Letta e Fedele Confalonieri gli previdero tutti i guai giudiziari che avrebbe avuto, ma lui andò avanti e penso che, al di là di tutti gli errori commessi dal 2010 in poi, Berlusconi abbia un merito storico. Quella scelta evitò che il potere politico passasse nelle mani di una coalizione atipica e perversa rappresentata da ex comunisti e pm di Mani Pulite, con la benedizione di Carlo De Benedetti. Un’operazione perfettamente riuscita, grazie alla doppia alleanza con la Lega al Nord e con An al Sud, che lasciò di stucco i vari Occhetto, Petruccioli, Bertinotti. La vittoria era nell’aria anche perché dopo la fase giacobina di Tangentopoli e i tanti suicidi la gente era stufa di quel modo di fare, ma non sapeva più per chi votare. In questo senso la fondazione di Forza Italia diede una nuova casa a chi l’aveva persa.
Siamo a metà degli anni ’ 90: come avvenne il suo incontro con Berlusconi e il suo approdo in Forza Italia?
Io venivo da un periodo di caos, dopo l’assassinio politico collettivo del Psi e in esso della figura di Bettino Craxi. Uscendo da quella catastrofe, con altri amici e compagni come Enrico Manca e Antonio Landolfi provammo a riaggregare uno spezzone del vecchio Psi. Siamo nella fase della cosiddetta “diaspora socialista” e su questo mi confrontai, tra gli altri, anche con Gianni De Michelis. La dimensione culturale della politica socialista non era stata intaccata dalle vicende di Mani Pulite, anzi per certi aspetti manteneva una certa validità come alternativa a quella comunista, ma il corpo politico non c’era più. Anche perché il meccanismo della “sentenza anticipata” su cui si fondava Tangentopoli era micidiale: bastava un avviso di garanzia sparato in prima pagina o sui telegiornali con reato di finanziamento irregolare, corruzione e così via, e il politico di turno era colpito in maniera definitiva. Poi magari moti venivano assolti, ma la notizia compariva in quattro righe a pagina dodici... Questo meccanismo, moltiplicato per migliaia di persone come avvenne nel Psi, portò all’azzeramento di un intero sistema partitico. L’occasione per l’incontro con Berlusconi fu offerta, in un modo assolutamente singolare, niente meno che da Francesco Cossiga.
Prego.
Cossiga stava prendendo contatto con diversi eletti che venivano dalle vecchie fila della DC nel quadro del centrodestra guidato da Berlusconi. Ma inopinatamente convocò a queste riunioni anche socialisti che allora nessuno si filava più, come il sottoscritto, e così facendo ci “riammise” nel circolo politico. Tuttavia dopo un po’ ci rendemmo conto che noi pensavamo di stabilire un rapporto con Berlusconi, mentre lui voleva sottrargli un pezzo di eletti perché aveva in mente un’operazione addirittura geopolitica per far sì che un ex comunista portasse l’Italia a partecipare ai bombardamenti nella guerra dei Balcani sotto l’egida della Nato. Come poi fu. I caccia partirono ancor prima del via libera del Parlamento: se un’azione del genere l’avesse fatta Amato o Berlusconi li avrebbero mandati in galera. Invece la fece D’Alema e nessuno disse nulla. In ogni caso spiegammo a Cossiga che noi vedevamo in Berlusconi una sorta di vendetta e rivalsa verso l’assassinio del Psi che largamente il Pds di d’Alema, Occhetto e Veltroni aveva praticato. Al tempo stesso Berlusconi si accorse che c’era un limite di professionalità di classe dirigente nel partito.
Crede che Forza Italia fosse stata costruita su basi poco solide?
Nel ’ 94 Berlusconi aveva costruito Forza Italia con una parte di manager di Publitalia, i quali avevano una dimensione molto sballata dal punto di vista politico. Era un partito costruito sul nulla, che doveva misurarsi negli enti locali, nelle Regioni e in Parlamento con un’agguerrita classe politica fatta da professionisti come quella del Pds. E quindi, passato il nuovismo assoluto della prima fase, Berlusconi capì che sarebbe stato necessario riciclare persone che venivano dai partiti della prima Repubblica. Il tutto avvenne mentre era in corso la Bicamerale d’Alema, nella quale era scattato un accordo diretto tra Fini e D’Alema che aveva emarginato Berlusconi, che non sapeva cosa fare. Io fui tra coloro che gli consigliarono di buttare tutto per aria come unico modo per mantenere la primogenitura politica.
E come andò a finire?
Berlusconi era un seduttore, facemmo un incontro con una cinquantina di quadri socialisti nazionali e locali per i quali era la prima occasione per riparlare di politica dopo diversi anni. Lui si divertiva moltissimo e propose di ripetere gli incontri una volta al mese. Ovviamente non se ne fece nulla, ma intanto io avevo stabilito un contatto diretto con lui e così entrai in Forza Italia. Fondamentale fu allora il ruolo di Paolo Bonaiuti, che all’epoca, in parallelo con Gianni Letta, era tra i fedelissimi di Berlusconi. Pochi sanno che Bonaiuti aggregò una serie di persone, tra i quali il sottoscritto, Sandro Bondi, Renato Brunetta e altri, per scrivere il cosiddetto mattinale.
Ci spieghi.
Era una sorta di documento, in una prima fase destinato solo a Berlusconi, caratterizzato da una grande spregiudicatezza. Vi si elencavano in primo luogo gli errori fatti da Berlusconi stesso nei giorni precedenti, poi quelli fatti dai suoi dirigenti e infine se ne discuteva. In tutta la prima fase c’era un’assoluta libertà di pensiero e di critica. Poi progressivamente la diffusione del mattinale si allargò, ma a quel punto perse di vivacità. Fu una delle grandi intuizioni di Berlusconi, assieme a quella di dar voce ad alcuni personaggi “eretici” rispetto all’egemonia tradizionale del Pci come Giuliano Ferrara, Lucio Colletti, Gianni Baget Bozzo e altri. Ma la creazione di Forza Italia rimane di gran lunga la sua intuizione migliore.