Come si può pensare, con tutto il rispetto di chi lo pensa naturalmente, che il ricorso alle manette risolva il problema dell’evasione fiscale? È un conato demagogico proporre un tale provvedimento. Ben sapendo che non soltanto sarà di difficile applicazione, ma nella maggior parte dei casi non sarà mai applicato. Del resto l’evasione è punita con il carcere nelle misure e nelle modalità previste essendo considerato un reato contro lo Stato.

Delle frodi fiscali poi, non ne parliamo neppure. Ma davvero c’è chi ritiene che “scansando” o modificando qualche aliquota si arrivi ad un giudizio di condanna tale da comportare la galera per chi evade?

Andiamo, è pura illusione. I tempi dei processi, l’accertamento della verità, i lunghissimi contenziosi con l’amministrazione fiscale, il rito del patteggiamento alla fine di un estenuante braccio di ferro ( con la conseguenza che allo Stato conviene di più incassare quanto la magistratura stabilisce piuttosto che far schioccare le manette!) mettono fuori gioco chi crede che l’annosa questione possa essere risolta nella maniera radicale seguita da un platonico sequestro dei beni. Questo è il punto.

Nel momento in cui viene avviata l’istruttoria per l’accertamento fiscale ( il più delle volte penalizzante per la stessa amministrazione) gli averi dell’imputato, mobili e immobili, svaniscono. No, con le manette non si risolve niente. Si acuisce, al più, il conflitto tra i cittadini e lo Stato. E poi chi rischia sa che tutto è ben ponderato. Ad un delinquente che occulta i suoi patrimoni, che cosa gliene frega di correre qualche “pericolo” ben sapendo che ha la possibilità economica di “spostare” gli averi altrove?

La soluzione è un’altra, a nostro parere. La costruzione di un sistema fiscale equo che non induca nessuno all’evasione. E di esempi iniqui se ne potrebbero fornire molti, fino ad arrivare alla denuncia di vere e proprie vessazioni che rendono il cittadino una vittima sacrificale per errori marchiani o per accanimento specifico magari motivato da un tenore di vita all’apparenza ingiustificato.

Che le tasse vadano pagate è fuor di dubbio. Ma che i soldi dei cittadini vengano spesi meglio è altrettanto incontestabile. Immaginare di incassare il dovuto facendo tintinnare le manette è sintomo di una pochezza culturale e civile puerile. E anche l’ammissione di un’impotenza che non esalta l’autorità dello Stato, che dovrebbe promuovere un’azione civile affinché tutti paghino il dovuto ed il dovuto sia congruo, ma la deprime. Con il bel risultato di offrire ai cittadini un ulteriore argomento per opporsi allo Stato.

Nelle società civili la repressione è minima, mentre la prevenzione è massima. Questo distingue uno Stato autorevole, capace di farsi rispettare, da uno Stato autoritario, per non dire peggio. Manettari “ideologici” ( non certo chi esegue ordini impartiti legittimamente) ed evasori sono sullo stesso piano: agiscono contro la comunità con le armi della paura e della sottrazione di ciò che devono per il suo sostentamento. Che poi ciò che viene versato è troppo, viene speso male, dissipato, distratto a beneficio di grassatori pubblici, democraticamente investiti della loro funzione, è un dato incontrovertibile. E per chi si macchia di questi reati il solo deterrente delle manette davvero credo che non basti.