Personale è politico, dicevano le femministe negli anni 70 per significare l’importanza delle nostre vite di fronte alla società maschile che derubrica il personale a fatto privato, senza alcuna importanza. Sessuale è politico, rispondevano orgogliosi lesbiche e gay quando ancora il movimento Lgbti (Lesbico, gay, transessuale) era un movimento di liberazione sessuale e non una succursale del Mulino Bianco. In quel tempo, prima dell’epidemia di Aids, l’omosessualità non era una noiosa etichetta, ma uno strumento di rivolta: contro il patriarcato, la morale religiosa, la segregazione dei desideri. Le nostre identità stavano a significare un momento di rottura con il passato: possiamo fare quello che ci pare delle nostre vite, dei nostri corpi, dei nostri desideri. Non avevamo bisogno di modelli precostituiti, ci affidavamo alla creatività dei nostri amori e sperimentavano nuove forme familiari senza complessi d’inferiorità.Poi è arrivata l’Aids con la sua violenza crudele contro gli amanti. Ci ha decimati come una peste mentre i nostri nemici gioivano più o meno segretamente. L’epidemia mise in luce la fragilità delle nostre coppie dovuta all’assenza di qualsiasi riconoscimento giuridico, le discriminazioni strutturali che colpivano i nostri amori nella clandestinità. Le coppie gay non potevano assistersi in ospedali, non potevano lasciarsi eredità. Fu allora che iniziò a nascere il desiderio di parità o meglio di un riconoscimento pubblico da parte dello Stato delle nostre famiglie. Il movimento omosessuale divenne, da movimento di liberazione sessuale, un movimento per dei diritti civili pensando che nei diritti si potesse trovare finalmente la felicità. E in parte avevamo ragione, la battaglia per dei diritti civili è stata uno strumento fondamentale per far capire agli eterosessuali che cosa significasse materialmente essere discriminati sulla base del proprio orientamento sessuale. Una conquista che ha regalato felicità e gioia a milioni di lesbiche e gay in tutto il mondo facendoci uscire dal cono d’ombra della tolleranza. La lotta per il matrimonio ugualitario è stata insomma una grande occasione di verità per parlare al mondo di chi eravamo: gay, lesbica e transessuale in una società etero-normativa che non ci voleva e al massimo ci tollerava. Questa voglia di parità, però, nel tempo ci ha fatto perdere l’orgoglio della differenza riducendo le nostre identità ad un fatto pubblico ma non più politico. La giustificata voglia di uguaglianza si è trasformata in desiderio di omologazione.Lo dimostra la polemica ridicola che qualcuno dal movimento Lgbti ha fatto quando Alfano ha chiesto di togliere l’obbligo di fedeltà dal testo sulle unioni civili. Alcuni attivisti hanno gridato allo scandalo: per loro chiedere il matrimonio per tutti significava accettare acriticamente un’istituzione patriarcale che nei secoli ha ridotto in schiavitù milioni di donne e di minori. L’obbligo di fedeltà di matrice fascista e clericale che era stato la base del delitto d’onore di colpo diventava nuovo totem di uguaglianza e libertà. Quegli stessi attivisti pochi mesi prima avevano fatto circolare video spot in cui si diceva con un’estetica da spot Barilla: famiglia è dove ci sono bambini. Davvero? E tutte le altre coppie gay che figli non ne hanno o non ne vogliono cosa sono?Questo imborghesimento delle istanze Lgbti è stato in un certo senso dovuto. Le nostre famiglie, i nostri amori avevano subito troppe umiliazioni, ma adesso che il risultato è stato raggiunto, almeno nei paesi occidentali, ci sarebbe lo spazio per riscoprire la nostra identità libertaria, per ricordarci che non siamo solo diritti, ma anche desideri. È questa la vera libertà. La libertà di essere chi si è senza dover chiedere il permesso a nessuno: tori maschili o pazze-effeminate con le parrucche, anticlericali col coltello fra i denti o religiosi mistici, sessualmente fluidi o conservatori d’antan, genitori modello o single edonisti ed egoisti. L’importante è non subire i modelli della società etero-normativa che rimane comunque là fuori nonostante i comizi accorati di Monica Cirinnà. Invece quello che sta accadendo è che stiamo replicando quei modelli, senza neanche rendercene conto. Ecco che i gay effeminati vengono presi in giro o ridicolizzati, il Trono gay di Uomini e Donne viene presentato come la nuova frontiera dell’uguaglianza, l’ossessione per i muscoli da feticismo porno-estetico diviene quasi una nuova ideologia identitaria. Essere gay significa forse nell’epoca post-uguaglianza essere tutti belli, muscolosi, sensibili, sposati? In pratica, un ritorno agli anni cinquanta. Oddio, che noia. E che dire del rapporto con le lesbiche: pensiamo davvero che non ci sia un problema? Non ci accorgiamo del fatto, che almeno in Italia, le abbiamo fagocitate e silenziate anche quando si trattava di parlare dei loro corpi come nel caso della surrogacy? Non vediamo quello che sta accadendo negli altri paesi dove lesbiche e gay di fatto perseguono agende diverse se non addirittura ostili? Per non parlare delle identità transgender: va bene se sei una figa pazzesca coi boccoli biondi e le tette rifatte, può passare anche se sei simpatica e spigliata e ti mettono a fare l’opinionista al pomeriggio di Raiuno, ma se sei un metalmeccanico cinquantenne con la panza che si traveste per divertimento non hai nessuna cittadinanza nel mondo gay?Sia chiaro non dico che dobbiamo essere tutti Mario Mieli, sto dicendo al contrario che non dobbiamo essere nulla.Ecco perché dopo le unioni civili dovremmo aprire un dibattito franco nella comunità Lgbti contro i fascismi che serpeggiano dentro di noi: c’è chi infatti vorrebbe imporre un unico modo di essere omosessuale a tutti gli altri, chi non sopporta le eccezioni, le eresie, le opinioni differenti, le contraddizioni. Ecco, ho combattuto tutta la mia giovinezza per l’uguaglianza, adesso voglio utilizzare la mia età adulta per combattere per la differenza. E vi posso giurare che sarà una battaglia altrettanto feroce e orgogliosa.