Il percorso di digitalizzazione nella giustizia, avviato già da qualche tempo, interesserà gradualmente tutti i riti. Ma attenzione, come evidenzia la professoressa Paola Balducci – allieva di Giovanni Conso e Giuliano Vassalli, che per una ventina di anni ha insegnato Diritto processuale penale nell’Università del Salento e già componente laica del Csm -, a non sacrificare in nome dello sviluppo tecnologico i diritti della difesa. «Non vorrei – dice al Dubbio - che la digitalizzazione si riduca ad obbligare il penalista ad esercitare il diritto di difesa tra le mura del proprio studio legale attraverso uno schermo di un dispositivo elettronico».

Professoressa Balducci, il 2023 viene considerato un “anno di svolta” per la giustizia, visti gli investimenti legati al Pnrr e alla digitalizzazione. Sarà davvero così?

L’argomento dell’anno è senza dubbio il Piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Italia, il quale prevede investimenti e riforme anche in materia di giustizia. Il governo si è impegnato con l’Europa ad attuare riforme nell’ambito del processo civile, penale e dell’insolvenza attraverso tre settori d’intervento: ufficio del processo e capitale umano, digitalizzazione ed edilizia giudiziaria. Nello specifico, con riguardo alla digitalizzazione, si persegue l’obiettivo di investire nella trasformazione digitale dei fascicoli nonché nell’adozione di infrastrutture digitali. Ciò avrà come prima conseguenza l’eliminazione dei fascicoli cartacei. È chiaro che il settore maggiormente colpito da quest’ottica di cambiamento sarà quello penale, in quanto il processo civile è stato già da tempo reso telematico.

Dunque, uno scenario in movimento?

La riforma Cartabia ha previsto, anche in attuazione degli obiettivi del Pnrr, la digitalizzazione del processo penale telematico, tuttavia, siamo ancora in una fase di transizione digitale. Il cammino è sicuramente lungo e tortuoso, ma come noto il cambiamento è sinonimo di adeguamento. Bisogna capire se gli operatori del diritto siano pronti ad affrontare l’ondata di novità e se siano dotati degli strumenti idonei al fine di adempiere al meglio ai propri compiti. I presupposti per considerare il 2023 “l’anno di svolta della giustizia” ci sono, tuttavia, solo il tempo potrà essere il vero giudice degli effetti e dei benefici di queste riforme.

A proposito di digitalizzazione, ci sono dei rischi in merito al trattamento dei dati e all’uso dei servizi digitali nel processo penale?

L’utilizzo di dati sensibili attraverso sistemi informatici comporta indubbiamente un’esposizione a molteplici rischi. Si pensi, ad esempio, all’intromissione da parte di hacker in database apparentemente protetti dal mondo esterno. Proprio negli ultimi giorni si è verificato un attacco informatico di rilevanza mondiale. È, a tal proposito, necessario che il processo di transizione digitale in ambito penale venga realizzato con i giusti tempi e attraverso le giuste infrastrutture al fine di prevenire fughe di dati sensibili e di tutelare il comune cittadino che si affida alla giustizia riponendovi aspettative e speranze. L’accelerazione della digitalizzazione può essere efficace nel panorama di riforma, ma non può e non deve tralasciare alcun elemento utile al rispetto della privacy e del corretto trattamento dei dati sensibili.

I percorsi di digitalizzazione avviati non possono svilire il ruolo della difesa. Cosa ne pensa?

Ritengo che la digitalizzazione dei fascicoli e l’informatizzazione degli uffici giudiziari possano avere conseguenze positive per gli operatori del diritto, che vedranno un miglioramento in termini di tempo e modalità del proprio lavoro. È altresì evidente che per produrre gli effetti voluti è necessario un tempo ragionevole per l’organizzazione degli uffici giudiziari sul territorio. Inoltre, la digitalizzazione non può provocare una compromissione dei principi fondamentali che regolano il diritto di difesa nel processo penale, caratterizzato, come tutti sappiamo, dal principio dell’oralità e del diritto alla formazione della prova nel contraddittorio delle parti nel dibattimento. Non vorrei che la digitalizzazione si riduca ad obbligare il penalista ad esercitare il diritto di difesa tra le mura del proprio studio legale attraverso uno schermo di un dispositivo elettronico.