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Il dalemismo 2.0 ( ma forse siamo al 3 o al 4 a seconda di come ci si colloca nello spazio e nel tempo) è un richiamo netto alle radici e una sfida alla realtà. Soprattutto a quella che non c’è: la capacità di competere e di parlare ai giovani. È anche la forma più levigata di antirenzismo, ma così si finisce per svilire. La verità è che Massimo D’Alema, nell’editoriale di chiusura del 2016 sulla sua rivista Italianieuropei di cui Huffington Italia ha anticipato il testo, sornionamente si vuole prendere due soddisfazioni. Intinte nel curaro, è ovvio. La prima, fare lui ciò che il leader del Pd ha accuratamente evitato: un’analisi approfondita della sconfitta referendaria e dei sommovimenti profondi in atto nel tessuto sociale del Paese. La seconda, provare a disegnare i contorni ideali e i riferimenti d’azione politica di una sinistra europea che abbia il coraggio di ripensarsi e rimodellarsi per fronteggiare con qualche speranza di successo l’onda populista che squassa l’Occidente e sommerge principalmente il campo progressista.
La voglia di volare alto, come si addice a chi dirige un importante istituto di studi, è palese. Quella di colpire basso è più in sordina: e tuttavia chi deve capire capirà senz’altro. L’analisi che riguarda l’Italia all’indomani del 4 dicembre è al contempo semplice ed impietosa. La riforma costituzionale è stata vissuta, secondo l’ex premier, come l’ennesima sottrazione di diritti; in continuità con una stagione caratterizzata dalla crescente precarizzazione e mercatizzazione del lavoro. Per questo gli italiani l’hanno bocciata. Per lo stesso motivo il rigetto più netto è avvenuto tra i giovani, che precari e privati di futuro in nome delle logiche di un capitalismo sempre più sbilanciato a favore dei più forti, sono - e soprattutto continuano - ad essere. Quanto in questo ci sia la mano di Renzi è talmente ovvio che D’Alema si toglie lo sfizio di citarlo quasi solo di sfuggita: come se la sua avventura fosse una parentesi di cui non vale la pena occuparsi e della quale liberarsi al più presto.
Ma lo sforzo concettuale politicamente più significativo - ed anche il più foriero di ripercussioni - riguarda la ormai obbligatoria riorganizzazione ideale e politica della sinistra in Europa e nel mondo, pena il declino. Senza ripensare se stessa non in astratto bensì in riferimento alle sfide che arrivano dalla globalizzazione che produce crescente disuguaglianza, il destino della sinistra sarà di essere ' junior partner' dei governi e delle maggioranze di destra. In sostanza, spiega D’Alema, un ruolo subalterno e di secondo piano. Non deve sorprendere che l’ondata di demagogia e populismo che ha portato Trump a trionfare negli Usa e la Brexit a prevalere in Gran Bretagna abbia messo nel mirino prioritariamente i progressisti. Accade perché sono vissuti dalla gran parte della popolazione come ormai incapaci di svolgere il loro compito di tutori dei diritti dei più deboli, sentinelle del campo delle tutele, guardiani della redistribuzione equa e non a vantaggio dei ricchi. Paradossalmente, queste bandiere sono finite nelle mani delle destre, ed è un paradosso pieno di veleno, capace di uccidere politicamente.
Bene. Dove sfocia questo sforzo di analisi dalemiana? Per l’Europa i tempi sono inevitabilmente dilatati. Per l’Italia, al contrario, brevissimi. Al di là della scontata contrapposizione con Matteo Renzi ed il Pd plasmato a sua immagine e somiglianza, il dato più interessante concerne lo sbocco elettorale che potrebbe essere a breve. D’Alema intende alzare una bandiera su un terreno che è devastato e dove ciò che svetta sono le macerie. È il campo della sinistra italiana del quale Renzi, secondo D’Alema, non fa più parte e che dunque è in cerca non solo di un leader ( corsa che non lo riguarda) quanto in particolare di una mission, di una identità. O, volendo usare il vocabolario renziano, di una narrazione. D’Alema si incarica del compito. Se e quanto tutto questo si tradurrà in un contenitore politico che si presenta poi alle elezioni, si vedrà. Molto dipende dalla legge elettorale che il Parlamento partorirà. Ma la ricostruzione di una sinistra capace di attirare le nuove generazioni e tornare ad indossare gli abiti della modernità tagliati però su una effettiva giustizia sociale, è un compito che travalica le frontiere. Uno sforzo di lungimiranza. Per sopravvivere.