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Una frase, una sola, per capire? Eccola: il primo turno delle amministrative ha clamorosamente trasformato lo scenario politico italiano, con il risultato che lo schema Renzi contro tutti si è rovesciato nel suo contrario: Tutti contro Renzi. E questo il titolo del film che da adesso in poi verrà proiettato sul palcoscenico del potere, e che resterà in locandina fino allinizio dellautunno, quando si svolgerà il referendum costituzionale. Cosa significa? Semplice.La strategia per recuperare nei ballottaggi, va bene. Gli input da dare ai candidati, daccordo. La scossa al partito perchè smetta di autoaffondarsi, ok. Tutto giusto, tutto obbligato. Di più: necessitato. Però il bubbone che covava sottopelle e che le urne di domenica scorsa - con annessa «delusione» manifestata dal presidente del Consiglio nonché segretario del Pd - hanno portato in superficie riguarda la vera partita politica che è in atto e che tutti adesso vogliono giocare a carte scoperte, la partita dal cui risultato dipendono gli equilibri presenti e futuri e in definitiva il modo in cui lItalia gestirà i prossimi anni. Una partita il cui bottino, perciò, ha un nome solo: Matteo Renzi e la sua poltrona a palazzo Chigi. E che ha uno spartiacque obbligato: lo scontro senza possibile pareggio tra il Sì e il No sulla riforma Boschi. È lì, infatti, che la Santa Alleanza dei Tutti contro Renzi aspetta al varco il premier per infliggergli una sconfitta simile a quella di Napoleone a Waterloo.Spedito frettolosamente in soffitta il refrain bisogna eleggere i sindaci e non il governo, ciò che il secondo turno tra due domeniche renderà palese è il rapporto di forza, il tipo e la potenza delle armi di distruzione di massa in mano ai due eserciti che si fronteggeranno tra una manciata di settimane, in autunno.Come sia avvenuto che ciò che nei calcoli a tavolino doveva essere il trionfo annunciato di Renzi: il cambiamento delle istituzioni vanamente inseguito da decenni, vero e proprio supplizio di Tantalo di generazioni di leader politici, si sia trasformato in una battaglia incerta e per nulla scontata, è merito - o colpa dipende dai punti di vista - degli elettori che domenica scorsa hanno scosso dalle fondamenta i pilastri della narrazione renziana che da due anni e mezzo troneggiava praticamente in solitaria sul palcoscenico della politica italiana. Ebbene, se la posta in palio è chiara, resta da stabilire qual è il percorso che porta al successo. Cè chi addirittura profetizza, forse memore del DAlema sbaragliato dal voto regionale del 2000, che se il 19 il Pd si ritrova sconfitto in tutte e tre le più importanti città, cioè Milano, Roma e Torino (Napoli è già andata), Renzi si presenterà dimissionario.Fantapolitica. Le dimissioni però, non il risultato elettorale. Perché pur con tutte le cautele del caso, è innegabile che la rimonta di Giachetti a Roma abbisogna di assai più del mezzo miracolo reclamato dal premier. Che a Milano cè un testa a testa che non consente ottimismi. E che a Torino il vantaggio di Fassino è certamente ampio, ma lappeal della grillina Chiara Appendino minaccia di fare strage di consensi. Proprio la campagna elettorale del ballottaggio può diventare spia dei posizionamenti in atto, prova generale dellAlleanza anti-refendaria: spuria, impropria e brancaleonesca quanto si vuole ma non per questo meno agguerrita e, agli occhi di palazzo Chigi, inquietante. Il reticolo delle manovre di avvicinamento è visibile in controluce. I Cinquestelle, fedeli al loro costume e forti dello sfondamento a Roma, si inalberano se qualcuno insinua aiutini non programmati. Però è vero che proprio la Raggi, in teoria quella che ne avrebbe meno bisogno, ha specificato che chi accetta il programmma pentastellato «è libero di votarci». Sul fronte opposto, Matteo Salvini annuncia senza remore che voterà i candidati grillini, mentre la fida Meloni si limita a sorridere senza che sulle sue labbra compaia la parolina mai. Perfino Marchini traccheggia: nessun apparentamento, è la parola dordine. Però se giocoforza e ufficiosamente si deve intavolare una trattativa, visti gli undici punti di distacco tra Raggi e Giachetti, linterrogativo con chi farlo diventa pleonastico. E Berlusconi? La posizione lha espressa direttamente lex Cav prima del ricovero: scheda bianca. Tuttavia per chi proprio non ce la fa a tenere la matita elettorale a posto, lo stentoreo sussurro di Renato Brunetta: «Mai con la sinistra», può tornare utile.I risultati, e le manovre che li precedono, conteranno. Ma in ogni caso le truppe sono mobilitate e la consultazione popolare sempre più assume i contorni di unordalia. Il merito della riforma è un pallido ricordo, i richiami dei tanti professori nelluna o nellaltra metà campo schierati sono destinati a rimanere inascoltati: troppo ghiotto è il boccone politico; troppo alta la possibile vincita. Tutti contro Renzi è una sirena che canta in maniera così suadente che è impossibile resistergli. Renzi può ordinare ai suoi di tapparsi le orecchie, è vero. Ma così il rischio di restare sordo anche ai richiami dellelettorato si fa altissimo.