L’ha detta giusta qualche giorno fa Antonio Polito sul Corriere della Sera: dopo undici anni di tecnici, Meloni è il primo leader che vince le elezioni e diventa premier. Di più: degli ultimi sei primi ministri, ed escluso solo Letta nel 2013, Meloni è anche l’unica parlamentare che sale a Chigi. Non lo erano Monti, Renzi, Conte e, naturalmente, neanche Draghi. Ecco, forse è tutta qui la novità, il vero punto di forza del governo di Giorgia Meloni: il suo forte, fortissimo richiamo all’investitura popolare, un tema del resto che ha attraversato larghi tratti del suo discorso alla Camera. E quando lo ha fatto, ne siamo certi, su qualche bocca è immediatamente affiorato un ghigno di disapprovazione. Soprattutto dalle parti del Pd, il quale, da qualche tempo a questa parte, si è convinto che qualsiasi riferimento al consenso o alla volontà popolare puzzi di populismo. Per questo non vince più le elezioni. O forse, più malignamente, potremmo pensare che sovrappone consenso e populismo perché non le vince da qualche annetto. Ma è proprio su questa idea che Meloni ha affondato il colpo. Certo, lo ha fatto a modo suo e con parole e idee non sempre o non del tutto condivisibili. Eppure un punto lo ha centrato: la ricerca del consenso non significa per forza di cose slittamento nella demagogia populista. E questo le ha consentito di rivendicare la centralità della politica, che sa, può e deve gestire i dossier più delicati senza chiedere soccorso ai tecnici, ma soprattutto ha avuto la capacità di rivendicare la necessità di proporre il tema del cambiamento senza per questo essere tacciati di avventurismo sovranista. Lo ha fatto in modo chiarissimo quando ha parlato di Europa; da un lato rassicurando sul suo sincero europeismo - condendolo col solito ed evitabilissimo riferimento alla radici giudaiche e cristiane - e dall'altro spiegando che modificare il destino (e le regole) dell’Ue, non significa volerla sfasciare ma, anche qui, renderla più vicina ai cittadini. Se poi riuscirà a farlo è un altro paio di maniche. E tutto questo mette in luce il destino di un centrosinistra incastrato da anni nell’idea di “responsabilità” e conservazione  che preclude qualsiasi possibilità di investire sul cambiamento. E se davvero il centrosinistra, come ha fatto capire Meloni, è già al lavoro per cercare di buttarla giù e mettere dentro un premier "responsabile", beh, allora avrà finito di scavare la sua fossa.