Alfonso Celotto, costituzionalista all’università di Roma Tre, spiega che «un tema così complicato» come il controllo della Corte dei conti sul Pnrr «non si può ridurre a una emendamento approvato con al fiducia» ma al tempo stesso mette in guardia dalla «burocrazia che da anni incatena il paese».

Professor Celotto, il governo avrebbe dovuto gestire in maniera diversa lo scontro con la Corte dei conti sul Pnrr?

Stiamo parlando di questioni tecniche molto complicate. Il controllo concomitante deve accompagnare l’amministrazione e renderla più sicura ma dipende come viene applicato: se lo si fa bene può raggiungere l’obiettivo, altrimenti può anche rallentarla. Il punto è che un tema così complicato non si può ridurre a un emendamento approvato con la fiducia. Serviva un disegno di legge con tanto di audizioni e di una sana discussione, come sta accadendo per la riforma dell’Autonomia. Insomma è anche un problema di metodo.

La maggioranza dice che il controllo concomitante rallenta i progetti del Pnrr, l’opposizione dice che li velocizza: come stanno le cose?

Il controllo concomitante è un istituto che esiste da relativamente poco, cioè da una ventina d’anni. Come dicevo prima potrebbero avere ragioni entrambe, ma di certo era un istituto ancora in fase di rodaggio.

È anche vero che in vent’anni non c’era mai stato un Piano così imponente come il Pnrr…

È vero, ma è necessario su questo piano bilanciare le due principali esigenze, cioè combattere l’eccesso di burocrazia, da un lato, e fare i controlli che servono, dall’altro. È difficile capire quale sia il punto d’equilibrio. Quello che è importante è che queste cose si facciano in maniera meditata. Matterella ha detto una cosa giusta e cioè che il Pnrr non è ne di destra nè di sinistra e su questo bisogna veramente andare tutti assieme. Ora invece siamo entrati nella polemica politica e il governo è entrato in polemica con la Corte dei conti.

Il Pnrr sta andando a rilento: pensa sia un problema politico o ci sono questioni tecniche che oggettivamente impediscono la buona riuscita dei progetti?

Sicuramente l’Italia non è pronta per un Piano così grande come il Pnrr. Stiamo mostrando affanno sulla scelta delle opere e soprattutto c’è troppa burocrazia. Andrebbe rivoluzionata tutta la parte che riguarda la digitalizzazione, come del resto prevede lo stesso Pnrr, ma bisogna farlo seriamente.

Il ministro Fitto sta cercando il dialogo con l’Ue: c’è il rischio di intaccare alcune norme comunitarie per la fretta di concludere i progetti?

A me pare che il governo stia cercando di trattare con l’Ue per adattare un piano ambizioso con quelle che sono le fattibilità. Si tratta di fare uno sforzo e cercare di farlo tutti assieme, ma un ministro va giudicato eventualmente dopo il suo operato. Il vero problema è che l’Italia sta dimostrando che non ha capacità progettuale e non ha la forza di portare a termine i progetti perché, ripeto, c’è troppa burocrazia.

A proposito di lentezza, per andare spedito il governo sta ponendo molte volte la fiducia, ricorrendo spesso al decreto legge, come del resto i governi precedenti: come se ne esce?

Bisogna cambiare il procedimento legislativo, è un discorso molto ampio. Se soltanto un governo abusa di decreti legge e fiducie è un conto, ma visto che ne stanno abusando tutti vuol dire che l’unico strumento è creare una corsia preferenziale per i disegni di legge governativi e verificare se può essere più funzionale un Parlamento monocamerale piuttosto che bicamerale.

Per snellire il nostro sistema istituzionale la maggioranza sta pensando all’elezione diretta del presidente del Consiglio, è una strada percorribile?

Sono temi di cui si discute da più di 40 anni e nonostante questo non si riesce ad avere una certezza di quale sia la strada migliore. Lo si sta vedendo chiaramente negli ultimi anni, perché c’è la consapevolezza che le riforme andrebbero fatte ma si è sempre in difficoltà nel capire quali siano quelle giuste e quale sia la maggioranza politica che si vuole aggregare attorno a queste riforme.

Il premieranno sembra interessi anche una parte dell’opposizione…

Politicamente sembra che ci sia più spazio per l’elezione diretta del presidente del Consiglio piuttosto che del capo dello Stato, ma sappiamo anche che in tutti i sistemi più vicini al nostro nessuno elegge direttamente il presidente del Consiglio. Quindi bisogna riuscire a capire come mettere assieme l’elezione diretta del premier con la legge elettorale e i poteri del Parlamento, perché ovviamente poi servirebbe dei bilanciamenti.

Ad esempio la sfiducia costruttiva?

La sfiducia costruttiva è uno dei pezzi del puzzle ma ricordiamoci che avrebbe comunque fatto cadere il governo Draghi, che si è dimesso. In altri casi, come nella crisi del Conte uno, forse avrebbe aiutato, ma insomma bisogna rifletterci bene.