Caro direttore, Francesco Damato è un autorevole testimone della Prima, della Seconda e di questa scombinata Terza Repubblica. Ha la memoria di un Pico della Mirandola e, beato lui, è un archivio ambulante. Nell’articolo pubblicato ieri sul tuo giornale, prima mi accarezza per il verso giusto ma poi legittimamente dissente dalla mia tesi secondo la quale l’attuale inquilino di Palazzo Chigi assomiglierebbe un po’ a Giulio Andreotti. Più che ad Aldo Moro, come ritiene anche Eugenio Scalfari, Damato accosta Conte a Mario Monti. E non già, presumo, perché quest’ultimo è stato pure lui presidente del Consiglio e adesso, senatore a vita, è un po’ desaparecido.

Io rimango della mia idea. E mi piacerebbe che il presidente Conte fosse l’arbitro di questa contesa tra due montanelliani doc. So bene che, con l’aria che tira, Conte è più indaffarato di Giovannone Spadolini ai tempi suoi. Del quale si diceva che, come Domineddio, è in cielo, in terra e in ogni luogo. Ma so altresì che il presidente del Consiglio è la cortesia fatta persona. Come mi dice una comune amica e collega: la professoressa Patrizia Giunti, direttrice del dipartimento di Scienze giuridiche dell’Ateneo fiorentino. Dopo tutto, è interesse degl’italiani sapere come il presidente del Consiglio pro tempore ( ma non c’è niente di più definitivo del provvisorio…) si rapporta con i suoi predecessori. Perciò confido che Conte, maestro di arbitrati, faccia l’arbitro. Un ruolo, del resto, che gli calza a pennello. Ma che fatica!