Senza neppure un sussulto di nazionalismo, di cui non sono comunque affatto capace, quando il capo degli europarlamentari liberali, Guy Verhofstadt, accusò in maniera esagitata Giuseppe Conte di essere un “burattino” nelle mani di Salvini e Di Maio, pensai che sgradevolmente sbagliava. Nel suo italiano malcerto, dimostrava di non conoscere a sufficienza né i fondamentali né le vicissitudini della politica italiana, né le strutture di opportunità né le trappole.

Certamente, Conte aveva accettato la carica di Presidente del Consiglio nel governo Cinque Stelle- Lega nella consapevolezza che con quei due Vice- Premier avrebbe sempre dovuto fare i conti, operazione delicata e difficile. All’inizio, pose come paletto quello del suo qualificarsi come “avvocato del popolo” e non più correttamente “guida del popolo”.

Curiosamente, né l’uno né l’altro populista replicarono. Rapidamente ha capito che, anche il più debole dei capi di governo, e lui, intrinsecamente, privo di un partito politico alle spalle e del sostegno di un attore istituzionale, come un Presidente della Repubblica, è debole, può comunque fare qualcosa. Si è gradualmente reso conto di possedere abbastanza potere istituzionale suo proprio, e se lo può giocare.

Ha visibilità nazionale e internazionale.

Può persino sottolineare di essere l’effettivo punto di equilibrio dell’alleanza di governo e degli “squilibrati- squilibranti” che la ( s) compongono.

Ha anche capito che il Presidente della Repubblica, interpretando il suo ruolo come rappresentante della nazione, di una nazione che, a prescindere dai sondaggi, preferisce la stabilità agli scossoni, agli ( elettro) shock, è oggettivamente suo sostenitore.

Conte è andato avanti navigando a vista e a udito. Si è ritagliato un suo spazio, lo ha rivendicato apertamente in una conferenza stampa memorabile - anche per la solita incapacità dei giornalisti di fare le domande che obblighino ad approfondimenti. Lo spazio ritagliato, da un lato, non ha precedenti, dall’altro, non è fisso una volta per sempre. E’ variabile e stiracchiabile. Giustamente, fino ad ora, non si è richiamato a esempi del passato.

Non si pone l’obiettivo di diventare come Aldo Moro, uomo di partito quant’altri mai, almeno fino alla prigionia. Non è Andreotti, uomo dei segreti e delle trame.

Non è Monti in quanto a caratura professionale e ad agganci europei unitamente alla sponsorizzazione di Giorgio Napolitano. Né vuole assomigliargli. Palesemente sta interpretando il suo ruolo come conducente di un veicolo traballante, affollato da desideri contrastanti. Vede la strada, ne ha imparato a conoscere le curve, le salite, le impennate, le asperità.

Ha anche capito che a Bruxelles non si trovano le soluzioni ai problemi italiani, ma senza Bruxelles gli italiani non troveranno nessuna soluzione duratura e efficace. Non lo può dire palesemente, ma in maniera felpata l’ha fatto capire a Ursula von der Leyen, che ha apprezzato. La prossima pena sarà la nomina del Commissario europeo che spetta all’Italia.

E’ improbabile che Conte si trovi al fondo della receiving line.

Deve avere già fatto sapere che il nominato/ a deve essere credibile professionalmente e “europeisticamente”.

Alla fin della ballata, le tensioni fra Giggino e Matteo sono fisio/ pato/ logiche e continueranno, il rimpasto lo guiderà lui, perché lui, Giuseppe Conte, è l’unico non “rimpastabile”. Anzi, il Conte- bis darà nuovo slancio e grande impulso alla seconda fase del governo giallo- verde.