Riforme della giustizia tra ddl costituzionale e carcere: intervista a Rossella Marro, presidente di Unicost.

Oggi ricorre il 32esimo anniversario della morte di Giovanni Falcone che si diceva favorevole alla separazione delle carriere.

Falcone faceva un discorso più ampio rispetto alla separazione, in quanto faceva riferimento all’esigenza di una specifica professionalità accompagnata da una specifica formazione professionale del pubblico ministero. Come magistratura associata siamo compatti nel dire no a questa riforma. Anche se il ministro Nordio lo nega, in realtà la separazione dei pubblici ministeri dai giudici comporterebbe la sottoposizione dei primi al potere esecutivo. Allo stato il pm è il primo garante della legalità, il primo magistrato che il cittadino incontra; sottraendolo allo stesso ordine e alla stessa cultura dei giudici diventerebbe un super poliziotto.

Qualche giorno fa il sottosegretario Mantovano ha detto che chi lancia allarmi sullo Stato di diritto a causa della separazione delle carriere avrebbe bisogno di uno psicologo. La ritiene una dichiarazione eccessiva?

La ritengo sicuramente eccessiva. Mantovano è un ex magistrato e non posso credere che non comprenda le preoccupazioni della magistratura e di diversi insigni costituzionalisti in merito alle riforme in cantiere. Il problema non è la separazione in sé ma lo stravolgimento dell’assetto costituzionale.

In che termini?

Il problema è tutto il complesso delle riforme, previsto dalle proposte in discussione in Commissione Affari costituzionali e nel ddl costituzionale, almeno da quanto emerge dalla stampa, visto che ancora non abbiamo visto un testo. In esse vediamo, ad esempio, un indebolimento dell’organo di governo autonomo del Csm, che attraverso la tutela dell’autonomia e indipendenza della magistratura garantisce il principio di uguaglianza dei cittadini. C’è poi l’eliminazione della norma che prevede che i magistrati si distinguono solo per funzioni e questo comporterebbe una accentuazione della gerarchia nelle procure e negli uffici giudicanti. C’è una rivisitazione del principio per cui il giudice è soggetto soltanto alla legge. Tutte queste modifiche messe a sistema minano il nostro assetto costituzionale e quindi fanno sorgere delle perplessità fondate sulla deriva che possiamo prendere.

E dell’Alta Corte per il disciplinare cosa pensa?

Su questo come gruppo ci siamo espressi: anche questa previsione intacca le prerogative del Csm, andando ad intaccare profondamente l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.

Con tutte queste riforme, secondo lei la politica vuole fare una guerra alla magistratura?

Non so se sia appropriato il termine “guerra”. Sicuramente c’è la volontà di ridimensionare il ruolo della magistratura. Sembra più una posizione assunta a seguito di alcune inchieste che non vengono ben digerite dalla politica.

Il ministro Crosetto, commentando il caso Toti, ha parlato di magistratura politicizzata.

Prima dell’inchiesta ligure, c’è stata quella in Puglia su esponenti del Partito democratico. Questo ci fa capire che la magistratura effettua il controllo di legalità a 360 gradi. Non ritengo che ci sia una giustizia chirurgica. Non fare inchieste doverose, questo sarebbe veramente uso politico della funzione.

La maggioranza qualche mese fa ha attaccato anche la magistratura per il caso Artem Uss e Apostolico ma l’Anm contro queste critiche è uscita compatta dal congresso.

In effetti, quello a cui assistiamo sempre più spesso negli ultimi tempi, e che deve indurci ad una attenta vigilanza, è il fastidio che da alcune frange della politica e della stampa si manifesta nei confronti dell’attività di interpretazione costituzionalmente orientata, come se l’attività di interpretazione della legge nell’ambito del più ampio contesto dei principi costituzionali e comunitari sia da bollare come attività eversiva e non come espressione dei più alti principi di una democrazia matura. Calamandrei diceva che noi non sappiamo che farcene dei giudici di Montesquieu, come esseri inanimati: noi vogliamo un giudice con l’anima. L’interpretazione della legge non è operazione meccanica, non è puro sillogismo.

Nel ddl in via di rifinitura a via Arenula, salvo sorprese dell’ultima ora, ci sarà anche l’inserimento dell’avvocato in Costituzione, nella versione elaborata dal Cnf. Lei sarebbe d’accordo?

Penso che la professione dell’avvocato sia nobile. Magistrati e avvocati devono collaborare con il fine ultimo che la giustizia venga amministrata in modo correto. Nella Costituzione si fa riferimento ai poteri dello Stato, con una precisa previsione di pesi e contrappesi, e il mancato inserimento rispondeva a questa logica che non esclude il valore nobile della professione. Questo non esclude che la proposta, così come pensata dal Cnf, venga discussa e non dobbiamo avere pregiudizi, perché risponde alla esigenza di valorizzare il ruolo di ciascun protagonista del processo.

Cosa pensa della proposta di legge Sciascia Tortora sull’obbligo per i magistrati tirocinanti di trascorrere quindici giorni in carcere, compresa anche la notte?

La questione è posta in maniera sbagliata. La battaglia contro l’attuale stato delle carceri dovrebbe accomunare non solo magistratura e avvocatura, ma tutti i cittadini. Ma la responsabilità di questa vergognosa situazione non può essere addossata alla magistratura bensì alla politica. Che non ci siano abbastanza posti per i reclusi, nonostante l’aumento dei detenuti negli ultimi decenni, il fatto che in carcere non si attui il principio di rieducazione della pena e che non vi siano risorse: tutto ciò dipende esclusivamente dalla politica e dal ministero. Se si muove dalla logica dei proponenti allora paradossalmente dovrebbero essere i politici a dormire quindici giorni in carcere. Del resto, il messaggio che si invia dalla politica è fortemente contraddittorio perché non si fa altro che aumentare il numero di reati, innalzare le pene e prevedere nuove aggravanti: tutto questo sistema panpenalista avrà una ripercussione anche sul sistema carcerario, perché ci sarà un aumento della carcerazione. Chi ha scritto questa proposta dovrebbe rivolgersi a chi davvero ha un potere per cambiare la condizione di detenzione.