«Sono orgoglioso di aver firmato a Lussemburgo la Convenzione europea per la protezione degli avvocati. Un momento storico per la cultura giuridica italiana e per tutto il Paese». Con queste parole il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha commentato pochi giorni fa, durante incontro organizzato dal Cnf sul legittimo impedimento alla Camera dei deputati, il trattato internazionale promosso dal Consiglio d’Europa.

Nutrito il gruppo degli Stati firmatari. Oltre all’Italia, ci sono Andorra, Belgio, Estonia, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Lituania, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Repubblica di Moldova e Svezia. Si tratta del primo trattato internazionale vincolante in una materia fondamentale – con riflessi immediati anche in tema di diritti umani – che assicurerà protezione agli avvocati e, più in generale, a tutta l’attività difensiva. Ai lavori che hanno portato alla Convenzione ha partecipato la penalista Nadia Germanà Tascona, consigliera del Cnf. «Si tratta – dice al Dubbio – di un passo storico nel riconoscimento del ruolo fondamentale dell’avvocatura nella salvaguardia dello Stato di diritto».

Avvocata Germanà Tascona, il guardasigilli ha sottolineato l’importanza della Convenzione europea per la protezione degli avvocati. Un risultato che deve rendere orgogliosa anche l’avvocatura italiana?

Le parole del ministro Nordio rappresentano una attestazione importante del nostro ruolo. La tutela di noi avvocati è la tutela della giustizia e della società civile. La protezione degli avvocati non è una questione corporativa: significa garantire il diritto di ogni cittadino ad essere difeso in modo pieno, indipendente, libero da intimidazioni e condizionamenti. La Convenzione europea nasce da questa consapevolezza e sancisce un principio fondamentale: laddove viene minacciata l'indipendenza dell’avvocatura, è a rischio lo Stato di diritto.

Il Cnf ha svolto un ruolo significativo per giungere alla firma del trattato internazionale.

Il Consiglio nazionale forense ha avuto un ruolo attivo e propositivo, stimolando l’intervento dell’Italia ai lavori della commissione di esperti. Ha esaminato con grande attenzione la bozza del testo della Convenzione, analizzandone i contenuti e mantenendo una costante interlocuzione con il ministero della Giustizia, che ha accompagnato l’intero percorso.

Lei ha partecipato alle attività di stesura della Convenzione. È stato un lavoro impegnativo?

Sì, è stato un lavoro impegnativo, ma molto interessante, profondamente arricchente. La stesura di un testo che potesse essere condiviso ha comportato la necessità di conciliare ordinamenti giuridici diversi, sistemi legislativi con approcci eterogenei alla professione forense e, soprattutto, sensibilità culturali non sempre sovrapponibili. Ma alla base vi è stata la capacità di tenere fermo l’obiettivo comune: costruire uno strumento giuridico che fosse, al tempo stesso, concreto, efficace e condiviso da tutti i Paesi coinvolti. Abbiamo affrontato temi delicati come le interferenze indebite nei procedimenti giudiziari, la sicurezza personale degli avvocati, la tutela della riservatezza del rapporto fiduciario con i clienti, nonché l’accesso libero e non discriminatorio alla professione. Questi argomenti, pur nella loro universalità, presentano sfumature diverse a seconda del contesto nazionale. Consideri inoltre che il lavoro è stato svolto in due lingue, inglese e francese. Ogni parola, ogni concetto, ogni termine tecnico doveva essere calibrato con attenzione, perché anche una piccola sfumatura linguistica può avere risvolti interpretativi significativi. È stato un esercizio di precisione, ma anche un’occasione per approfondire le radici comuni del nostro essere avvocati, al di là delle frontiere. Mai come in questo momento storico i diritti sono piegati pericolosamente.

E rispetto a tali scenari, la Convenzione è una risposta utile?

Sì, è una risposta necessaria e urgente, soprattutto in un contesto globale in cui assistiamo a crescenti pressioni sui diritti fondamentali e sull’autonomia dell’avvocatura. Affermare con chiarezza che la tutela dell’avvocato è parte integrante della tutela dei diritti è una presa di posizione forte, che ne rafforza il ruolo come presidio democratico. La sua adozione non può e non deve restare solo un atto formale, dovrà tradursi in politiche e pratiche concrete.

Sottoscritta la Convenzione, quali saranno le azioni da intraprendere anche per far conoscere questo documento?

Il lavoro non finisce con la firma. L’Italia, con altri Paesi, ha firmato per prima. Altri firmeranno, e si auspica la massima adesione. Ora si apre una fase altrettanto importante: quella della diffusione, dell’attuazione e della promozione culturale della Convenzione. Saranno fondamentali i momenti di formazione, gli incontri con l’avvocatura, le campagne di sensibilizzazione rivolte anche alla cittadinanza. Il Cnf, insieme agli Ordini e alle associazioni forensi, avrà il compito di rendere questo strumento vivo, operativo, presente nella quotidianità professionale. Solo conoscendo i propri diritti, si può davvero esercitarli e difenderli.