«Improprie», così Furio Colombo (editorialista de Il Fatto Quotidiano e a lungo corrispondente dagli Usa per La Stampa e La Repubblica), definisce le parole di Barack Obama. Il presidente americano è entrato a pieno nel dibattito italiano sul referendum costituzionale, lasciandosi andare ad una vera e propria dichiarazione ideale di voto in favore del Sì: «Il Sì al referendum aiuterà l'Italia. Le riforme sono quelle giuste. Spero che Matteo resti al timone, faccio il tifo per lui». Parole chiare, che hanno lasciato i sostenitori del no tra lo stupore e l'indignazione.Un endorsement che anche a lei non è piaciuto?Parlo da simpatizzante di Barack Obama e apertamente schierato per il No, e dico che le sue parole sono state improprie.Un'ingerenza quantomeno improvvida, quella del presidente americano?Non parlerei di ingerenza. Ogni paese, oggi, discute dei fenomeni politici esteri: pensiamo a quanto i nostri leader hanno commentato la Brexit e anche queste presidenziali americane. E' un naturale effetto della globalizzazione. Obama ha parlato con pieno diritto, ma a stupirmi sono stati i contenuti.Doveva sorvolare sul dibattito politico interno al nostro Paese?Avrei trovato assolutamente legittimo e anche normale un suo aperto apprezzamento all'operato del governo Renzi, con cui Obama è in sintonia e di cui ha gradito soprattutto la politica nel Mediterraneo. Con questo endorsement, però, ha fatto un passo in più: è entrato in una questione politica che di sicuro lui non conosce a fondo.Non si aspettava dal presidente americano un'apertura così netta?Non capisco le ragioni di un'uscita così plateale. Avrebbe potuto legittimamente dire "Non conosco il merito della riforma, ma ho fiducia in Matteo Renzi". Ho molte riserve su questa sua iniziativa in favore del Sì, perché non rispetta le altre parti politiche italiane che si contrappongono legittimamente alla posizione di Renzi.Curiosa è stata poi anche la scelta di Obama di invitare Matteo Renzi e la delegazione italiana all'ultima cena ufficiale del suo mandato presidenziale. Come si può spiegare?Molto semplicemente: è un evidente corteggiamento ai 25 milioni di italo-americani presenti negli Usa. Non dimentichiamo che l'America sta per eleggere il suo quarantacinquesimo presidente e che questi voti pesano.La minoranza italiana dove si colloca nello scacchiere politico americano?Gli italiani storicamente hanno sempre votato democratico. Quella di Obama è stata una mossa per portarli ancora più saldamente dalla parte di Hillary Clinton, che però già può contare su un buon appoggio dei nostri emigranti, che avevano molto amato Bill come presidente.Quindi, in realtà, Renzi alla Casa Bianca è servito in logica interna alla loro contesa politica più che alla nostra?Certo, quella di Obama è stata un'intelligente misura politica in favore di Hillary. Se, al posto di Renzi, fosse andato qualsiasi altro nostro premier sarebbe stato lo stesso, perché politicamente questo invito era una mossa utile indipendentemente dalle simpatie di Obama per Renzi. Portare alla Casa Bianca le eccellenze italiane, a partire da nomi noti anche Oltreoceano come Roberto Benigni, ha senso per accattivarsi le simpatie degli italo-americani.Lei crede che le parole di Obama influenzino il voto italiano di dicembre?Io credo proprio di sì: avranno presa soprattutto sugli indecisi. Chi stima Barack Obama e ha meno strumenti per contestualizzare e valutare questa riforma costituzionale sicuramente verrà spinto dalle sue parole in direzione del sì.E ci sono ancora molti indecisi?Assolutamente. Non esisteva una netta predisposizione nel Paese a riformare la Costituzione e questa legge costituzionale è stata una decisione politica di Renzi. Questo comporta che circa un terzo degli elettori è schierato per il sì perché Renzi è Renzi; un'altro terzo voterà no per la stessa ragione. Il restante terzo, invece, è ancora incerto. Per questo terzo, le parole di un premio Nobel per la Pace e presidente americano molto ammirato potrebbero essere tra i fattori determinanti in vista del voto.