Sull’ipotesi Draghi al Colle, il costituzionalista Francesco Clementi spiega di essere d’accordo con Michele Ainis sul fatto che potrebbe crearsi un cortocircuito istituzionale per la successione a palazzo Chigi, perché «la questione è assai delicata, toccando le corde più profonde della nostra forma di governo parlamentare e il nostro assetto democratico con la separazione dei poteri».
Sul tema politico non mi esprimo ovviamente. E come tutti noi seguo in attesa di una soluzione. Sul punto giuridico, si tratta, naturalmente, di un tema molto importante - dai più sottovalutato, mi pare - e che interroga e dovrebbe interrogare molto tutti i cittadini. Non soltanto perché si tratterebbe di un unicum nella storia della Repubblica ma perché la nostra Costituzione nulla dice in merito, tranne mostrare che la separazione dei poteri - tra poteri di governo politico e poteri di garanzia istituzionale - è il cuore della nostra democrazia. Non a caso, con cristallina chiarezza, all’articolo 84, comma 2, la Costituzione stabilisce l’incompatibilità del ruolo di capo dello Stato con qualsiasi altra carica.
Dentro profili procedurali assai delicati, innanzitutto il presidente Draghi, laddove eletto, dovrebbe dimettersi immediatamente da presidente del Consiglio, rimettendo il mandato nelle mani del capo dello Stato che, accettandole per decreto - sempre che non tutto crolli prima politicamente, ma è altra questione - aprirebbe così alla disciplina prevista dalla legge 400 del 1988. La quale consente, in presenza di un vicepresidente del Consiglio dei ministri già nominato, di lasciare a lui la supplenza nell’esercizio delle funzioni di presidente del Cdm, ma questo governo ne è assente, almeno fino ad ora. Oppure, laddove non vi sia un vicepresidente del Consiglio dei ministri, di lasciare al ministro più anziano - in questo caso il ministro Brunetta - l’esercizio provvisorio delle funzioni di presidente del Consiglio.
Concordo con Michele Ainis perché, come ho sottolineato, la questione è assai delicata, toccando le corde più profonde della nostra forma di governo parlamentare e il nostro assetto democratico con la separazione dei poteri.
In assenza di regole scritte - lo ribadisco - ritengo sarebbe più corretto costituzionalmente che fosse il Presidente Mattarella a gestire la nascita del nuovo governo, conseguente alla crisi del governo Draghi. Naturalmente, anche oltre il 3 febbraio, cioè in piena regime di prorogatio, posto che questa sarebbe legittimata dall’esistenza in pectore di un capo dello Stato eletto, pur non in carica, non essendosi insediato, a seguito del giuramento. Formato il governo, con tutti gli “annessi e connessi” politico- istituzionali che conosciamo, innanzitutto con il voto di fiducia, vi sarebbe il giuramento a presidente della Repubblica di Draghi e il passaggio di consegne con Mattarella.
Naturalmente si potrebbe invertire il percorso, mettendo il giuramento a presidente della Repubblica di Draghi prima della formazione del nuovo governo. Ma riterrei davvero inelegante che il presidente del Consiglio dimessosi, appena insediato nelle funzioni di capo dello Stato, in quel nuovo ruolo gestisse la formazione del nuovo - anzi, vecchio - governo da lui presieduto.
Al “fate presto” aggiungerei il “fate bene”. C’è ancora tutto il tempo per evitare problemi, trovando la soluzione più idonea rispetto ai problemi del Paese. E le forze politiche, a partire da quelle più consolidate, lo sanno bene. In questi casi non è la velocità che fa la differenza, ma il risultato. C’è un governo in carica che, operativamente, intanto risponde giustamente a partners e alleati
Stavolta, più di altre volte, se non vi sono scioglimenti anticipati il nuovo Presidente l’eletto attraverserà ben tre legislature: passaggi assai complessi, tanto perché sarà il punto di riferimento di una politica e di un Parlamento che sarà un fragile e frenetico cantiere pieno di lavori in corso in ragione della riduzione del numero dei parlamentari. E poi perché - stando alla media degli ultimi anni - sarà costretto a dover gestire almeno tre crisi politiche di governo da risolvere. Da solo, innanzitutto.
È per questo che l’esperienza politico- istituzionale del profilo del Presidente che eleggeranno sarà fondamentale, perché questi sarà di sicuro la persona che avrà più rapporto con i partiti e Parlamento, dovendo mediare con le forze politiche, le quali non necessariamente saranno disponibili ad un confronto all’altezza della sfide del Paese. Da qui, insomma, la necessità che si abbia un Presidente d’esperienza politica, riconosciuto anche a livello internazionale, profondo conoscitore delle nostre Istituzioni, comprese quelle sfumature più complesse che a tanti sfuggono.
Il rispetto pieno del collegio presidenziale. Perché costoro esercitano una funzione costituzionale importantissima che l’ordinamento deve proteggere e deve mettere, appunto, in condizione di poter esercitare. Oggi, almeno, con il tampone.