Francesca Scopelliti è stata la compagna di Enzo Tortora. Ha vissuto da vicino tutta la vicenda giudiziaria che ha riguardato il giornalista e conduttore tv, arrestato quarant’anni fa, il 17 giugno 1983. «Enzo – dice al Dubbio Francesca Scopelliti – è stato vittima di un crimine giudiziario. Coloro che lo hanno fatto arrestare sapevano di perseguire un innocente».

Quella di Enzo Tortora è stata una storia di ordinaria ingiustizia?

Partirei da una premessa. Bisogna distinguere quello che ha vissuto Enzo Tortora da quello che invece egli ha denunciato. La sua vicenda non si può definire la conseguenza di un furore giudiziario, ma un “crimine giudiziario”. Un errore viene commesso quando qualcuno non sa quello che fa. Enzo diceva, prendendo spunto dalle parole di Gesù e dalla frase “perdona loro perché non sanno quello che fanno”, che coloro che lo hanno fatto arrestare sapevano di perseguire un innocente. La vicenda che lo ha riguardato gli ha, comunque, permesso di fare la battaglia per la giustizia giusta contro gli errori giudiziari.

Quali sono i ricordi che conserva di Enzo Tortora, al netto della vicenda giudiziaria?

Ogni momento vissuto accanto ad Enzo è stato bellissimo, perché anche nel dolore più profondo, nella disperazione più profonda, lui si è sempre manifestato e dichiarato come uomo generoso e perbene. Un uomo di grande cultura. Abbiamo sofferto insieme, ma anche gioito insieme. Ogni momento di dolore e di gioia rappresenta per me un bel ricordo.

Le immagini di Tortora con gli schiavoni ai polsi appartengono a un’epoca passata per sempre oppure le pulsioni “punitiviste”, che vogliono sempre il “mostro” sbattuto in prima pagina, si riaccendo in continuazione?

Il desiderio di vedere il mostro in prima pagina c’è tuttora. Direi, anzi, che è aumentato rispetto all’epoca del processo Tortora, perché è cambiata molto la società. Io non so se si tratti di una conseguenza della pandemia, di quanto accaduto pochi anni fa, ma la società è molto più giustizialista. Non ci si chiede, davanti a un arresto, se la persona privata della libertà sia innocente. La società è più rancorosa, ha perso il gusto del sano vivere civile. La televisione, inoltre, offre quello che la società chiede. Più la televisione offre le manette, più la società chiede sempre più manette.

Una prospettiva inquietante… 

Faccio un esempio, forse, impopolare in questo momento. Il continuo ribadire, se prendiamo in considerazione l’omicidio di Senago, di tanti particolari a cosa serve? d indignare le persone perbene? La persona perbene si indigna anche senza che le vengano presentati di continuo tanti particolari. Quei particolari descritti in continuazione a cosa servono? Al folle, a mio avviso, che ha già delle idee in testa e una mente malata per capire cosa può fare. Si può provocare una sorta di emulazione. Io vorrei che tanti particolari fossero raccontati solo nei palazzi di giustizia e negli uffici giudiziari. Le lunghe cronache televisive di questi giorni le trovo davvero eccessive.

A proposito dell’arresto di quarant’anni anni fa, le immagini di persone arrestate ed esposte ai flash dei fotografi e alle telecamere sono state riproposte qualche anno dopo con Tangentopoli. Non ha insegnato nulla la vicenda di Enzo Tortora anche per l’approccio comunicativo?

Possiamo parlare di un corso della storia che non si è mai fermato. Pochi mesi fa, a febbraio, si parlava dei trent’anni di Tangentopoli e di “Mani pulite”. Tangentopoli ha fatto strage del diritto anche se c’è stata la narrazione dei paladini, degli eroi contro la politica dei corrotti. Non dimentichiamo neppure che una nota rivista mise in copertina Antonio Di Pietro su un cavallo bianco, come Napoleone. Probabilmente la società civile è stata influenzata a essere contro tutto ciò che non è sé stesso. Ognuno si ritiene persona perbene, ma l’altro no. È stato creato un senso dell’altro che, comunque, deve essere corrotto, marcio. Mi reco spesso nelle scuole. Una volta ho parlato di diritti, evidenziando che il mio diritto finisce dove inizia il diritto dell’altro. Uno studente mi ha detto: “Non sono d’accordo. Il mio diritto c’è sempre”. È difficile alcune volte spiegare che esiste una linea che blocca il tuo diritto. Se non si tiene conto di questo, tutto si trasforma in prepotenza. Viviamo mediaticamente una stagione in cui domina il “travaglismo”. Marco Travaglio in ogni suo articolo riesce a diffondere la cattiveria, la malizia. Domina il suo convincimento, senza la necessità di supportare certe argomentazioni con una indagine giornalistica.

Le lettere di Enzo Tortora scritte a Regina Coeli sono caratterizzate da tristezza, ma anche da segnali di speranza. La speranza di uscire dal carcere a testa alta. Continuava quindi a credere nella giustizia durante i giorni più bui?

La sua non era proprio speranza, era determinazione. Era la forza del suo essere una persona non innocente, ma estranea a certe accuse. Una persona perbene. Lui ha sempre contestato le mezze misure. Si è battuto per uscire a testa alta dalla vicenda giudiziaria che lo ha travolto. Un atteggiamento anche caratterizzato da mancanza di fiducia nella giustizia, dovuto all’atteggiamento della Procura di Napoli. I principi basilari della nostra Costituzione o non sono conosciuti o sono volutamente ignorati. Il diritto alla difesa è di tutti.

La storia di Enzo Tortora suscita l’interesse dei grandi registi. Verrà realizzato un docu-film?

Vorrei tanto che venisse realizzato un film dove non si raccontano i dolori della famiglia, ormai emersi in più occasioni. Spero che venga fatto un film capace di denunciare il fatto politico, che ha rappresentato la storia di Enzo Tortora. Enzo ha rappresentato per l’Italia l’occasione di rinsavire. Se fosse stata studiata, come si fa nella medicina legale, la vicenda di Tortora e se fossero state comprese le cause del crimine giudiziario e poi trovare una cura, la sua morte sarebbe servita a qualcosa. A volte invece ho l’impressione, come evidenziò Leonardo Sciascia, che ci si illuda. Ma non mi arrendo: da trentacinque anni porto avanti la battaglia di Enzo. La sua volontà testamentaria è la Fondazione che ha voluto. È una eredità pesante, che porto avanti con le mie forze e le mie capacità. Sono molto felice che oggi si parli ancora di Tortora. Spero infine che venga istituita la “Giornata delle vittime della giustizia”, come proposto a livello parlamentare.