Angela Della Bella, professoressa associata di diritto penale nell’Università di Milano “La Statale”, è l’autrice di un interessante libro intitolato “Il legislatore penale di fronte all’emergenza sanitaria. Principi penalistici alla prova del Covid- 19” ( Giappichelli, pp. 288, euro 39).

Si tratta del primo studio che affronta, in maniera sistematica, con lo sguardo acuto del giurista, il periodo della pandemia, le sue conseguenza nella vita di tutti noi, senza trascurare la presenza di alcuni vuoti normativi.

Della Bella evidenzia come nell’emergenza sanitaria il diritto penale sia entrato in campo nel momento in cui gli Stati hanno deciso di impiegarlo, «più o meno ampiamente, per garantire l’osservanza delle misure di contenimento del contagio, nella consapevolezza che tale osservanza è essenziale per tutelare i soggetti più fragili, la cui vita sarebbe esposta a grave rischio laddove il contagio si diffondesse liberamente».

Professoressa Della Bella, lei parla nel suo libro di “diritto punitivo pandemico”. Di cosa si tratta?

Con l’arrivo della pandemia, la maggior parte degli Stati, compreso il nostro, hanno utilizzato in maniera più o meno ampia sanzioni punitive per i casi di inosservanza delle misure di contenimento del contagio. Nel libro cerco perciò di interrogarmi su quali siano le condizioni e i limiti che si impongono al legislatore nel momento in cui ritenga di utilizzare il diritto penale, o più in generale il diritto punitivo, a tutela della vita e della salute della collettività in un contesto di emergenza sanitaria. Si pensi ai vincoli che derivano al legislatore penale dal principio di legalità, messo in grave torsione nelle situazioni di emergenza. Ma si pensi anche al principio di proporzionalità, in ossequio al quale il legislatore nel realizzare gli obiettivi che si propone deve assicurare il minor sacrificio possibile della sfera individuale dei cittadini: un principio con il quale le scelte punitive in questa materia devono evidentemente misurarsi, posto che l’obiettivo del contenimento del contagio a tutela della vita e della salute della collettività si realizza “a costo” di gravi limitazioni dei diritti e delle libertà del singolo.

Nel nostro ordinamento manca una definizione normativa di “emergenza sanitaria”?

Si, in effetti manca. Diciamo che la definizione può ricavarsi dalla Delibera del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 2020, con cui si è dato inizio allo stato di emergenza nazionale nel nostro Paese. In sostanza ciò che caratterizza una “emergenza sanitaria” è la presenza di un “rischio sanitario”, così come definito dal regolamento dell’OMS, ossia un rischio per la vita e la salute della collettività, determinato dalla diffusione di una malattia che si caratterizza per la sua spiccata capacità di propagazione e per la gravità delle patologie che può trasmettere. Una situazione, dunque, nella quale lo Stato è chiamato ad intervenire attraverso misure di contenimento del contagio a tutela della vita e della salute dei cittadini.

Quale “lezione” ha dato la pandemia al legislatore?

La pandemia ci ha colto totalmente impreparati. Direi, dunque, che, volendo fare tesoro dell’esperienza, la principale lezione riguarda la necessità di attrezzare l’ordinamento in vista di nuove e, purtroppo, non improbabili, evenienze epidemiche. Su questo fronte la sfida principale che attende il legislatore è certamente rappresentata da un serio sforzo di riorganizzazione del sistema sanitario e, nello specifico, da una regolamentazione organica del sistema di prevenzione e gestione degli eventi pandemici che sia in linea con le indicazioni provenienti dalle normative sovranazionali. Ritengo, però, e questo sostengo nel mio libro, che all’interno di questo ampio progetto di riforma, debba trovare posto anche la costruzione di un sistema razionale di illeciti amministrativi e penali a tutela della salute pubblica ed in particolare a tutela della funzionalità del sistema sanitario, che, come abbiamo tutti potuto constatare, viene sottoposto a grandissimo stress durante le crisi pandemiche. Si tratterebbe cioè di un sistema di illeciti che sia “pronto all’uso”, nel momento in cui venga in essere una situazione di emergenza sanitaria.

Che caratteristiche dovrebbe avere il sistema al quale lei fa riferimento?

Nel libro cerco di delineare la fisionomia che potrebbe assumere tale sistema. In estrema sintesi, mi immagino un sistema scalare, caratterizzato cioè da una progressione sanzionatoria corrispondente ai crescenti livelli di offensività delle condotte.

Un sistema in cui al primo livello siano collocati gli illeciti derivanti dalla violazione delle misure di contenimento. Ad esempio, gli illeciti per chi viola gli obblighi di isolamento domiciliare nel periodo di lockdown, piuttosto che l’obbligo di indossare la mascherina. Illeciti che dovrebbero essere concepiti come illeciti amministrativi e non penali e ciò anche alla luce delle criticità del ricorso alla sanzione penale, che erano emerse all’inizio della pandemia quando il legislatore pandemico aveva optato per questa soluzione.

L’inchiesta della procura di Bergamo porterà, secondo lei, alla condanna di chi ha gestito l’emergenza sanitaria e viene accusato di epidemia colposa e omicidio colposo?

Non ho evidentemente gli elementi per esprimermi con cognizione di causa, però a pelle concordo con chi ha espresso l’opinione che molto difficilmente sarà un processo che si concluderà con delle condanne. Sia circa la difficoltà di accertare nel processo che, se si fossero adottate determinate condotte, si sarebbe evitata la diffusione del contagio e conseguentemente il surplus di decessi, sia per i dubbi sulla reale configurabilità di un rimprovero colposo in quel drammatico contesto.

Giovanni Fiandaca ha parlato, a proposito dell’inchiesta di Bergamo, di una “metamorfosi giudiziaria” con il prendere corpo del “processo riparatorio, dove il dolore conta più dei reati e dove il potere dei pm non ha limiti”. Cosa ne pensa?

Certamente il bisogno delle vittime di sapere come sono andate le cose, di avere una forma di riconoscimento, non necessariamente monetaria, delle loro perdite è legittimo e merita una risposta. Ma, come dice il professor Fiandaca, occorre poi chiedersi se sia il processo penale il luogo giusto nel quale rispondere a tali aspettative.