La storia è quella di un appello che hanno firmato per ora oltre 1.500 persone, a sostegno della denuncia di una ingiusta carcerazione preventiva: appello che chi scrive ha già firmato. Si tratta della vicenda dell’avvocato Giancarlo Pittelli, un noto penalista di Catanzaro anche ex parlamentare azzurro. Quando fu arrestato nel 2019, a pochi giorni da Natale, venne spedito in carcere in Sardegna, dove rimase in isolamento per dieci mesi in esecuzione di un’ordinanza di oltre 13 mila pagine sull’indagine “Rinascita Scott”. La notizia è che, dopo essere stato mandato agli arresti domiciliari, nel dicembre scorso Giancarlo Pittelli rientrava di nuovo in carcere, perché ritenuto responsabile della consapevole “violazione delle prescrizioni impostegli” del divieto di colloquiare o comunicare con le persone che con lui non coabitavano. Era accaduto che avesse malauguratamente deciso di abbandonarsi alla disperazione, inviando una lettera alla Ministra Mara Carfagna. Oggi è in carcere a Melfi; anche sottoposto a un lungo digiuno che non vuole interrompere. La lettera fu consegnata dalla Ministra non appena ricevuta: contiene una richiesta di ascolto disperata, oltre che alcune considerazioni personali su prove dedotte a suo carico. Al di là del merito dell’imputazione, viene spontaneo chiedersi quanto, nei termini dell’extrema ratio della custodia cautelare in carcere, una lettera di disperazione e anche magari di rivendicazione della propria innocenza possa bastare per sottoporre nuovamente a carcerazione l’imputato in attesa di giudizio. E’ l’annosa questione degli abusi della custodia cautelare in carcere, che fa dell’Italia un Paese pluricondannato dalla Cedu quando ebbe il primato europeo per detenuti non definitivi con il 51% nel 2008 e il 42% nel 2010. Lo schiaffo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la violazione dell’art 5 della Convenzione non ci è servito a molto. Nel caso di Pittelli, da indagato fu incarcerato in Sardegna per dieci mesi a migliaia di chilometri di distanza dal suo giudice naturale, senza incontrarlo al suo interrogatorio di garanzia: ma non ci stupiamo, perché è l’ordinamento che prevede che l’interrogatorio avvenga per rogatoria, come se fosse più importante risparmiare le spese di viaggio, che non dare voce a chi è stato violato nel suo diritto fondamentale della libertà personale oltre che di difesa. Insomma, questa è la misura delle cose. Nelle nostre celle il 30% dei detenuti è ancora in attesa di giudizio: la complicità dell’abitudine italiana ai processi troppo lunghi trasforma il carcere in un’anticipazione di pena, non senza l’epilogo del noto sovraffollamento. Non solo, negli ultimi anni il legislatore, anziché prevedere un’amnistia, si è premurato di aumentare le pene di parecchi reati, cosi da far loro raggiungere la soglia che consente l’applicazione del carcere in via preventiva. E’ certo che il tema della custodia cautelare inevitabilmente impatti con i grandi temi della Giustizia, dai processi che non finiscono in tempi ragionevoli, alle ingiuste detenzioni fino al sovraffollamento in carcere. E’ la sicurezza sociale la leva, che fa da alibi per trasformare la misura cautelare in una pena a tutti gli effetti. Però la notizia è che l’appello per la vicenda dell’avvocato Pittelli, comparso per primo sulle pagine de Il Riformista, sia stato sottoscritto da avvocati, giornalisti, politici e cittadini: su Il Dubbio di questa settimana sono apparsi anche i nomi di alcuni dei 26 parlamentari firmatari, che sono di ogni schieramento – eccetto quello del Movimento 5 stelle. Non solo. C’è un’altra buona notizia: tra pochi giorni, il 15 febbraio prossimo, la Corte Costituzionale si occuperà di decidere sull’ammissibilità, tra gli altri, dei 6 quesiti del referendum Giustizia giusta promosso dal Partito Radicale con la Lega. Uno di questi quesiti, non a caso, affronta proprio il tema degli abusi della custodia cautelare in carcere. L’intervento mira ad abrogare quella parte dell’art 274 del codice di procedura penale, che prevede la possibilità di applicare la misura cautelare per il caso in cui ci sia stata “reiterazione del medesimo reato”. Si tratta di una piccola ma grande riforma che attiene alla volontà di avvicinare il nostro ordinamento alla Giustizia giusta: il quesito infatti si muove nella stessa direzione dei recenti interventi normativi, anche sollecitati dalle Alte Corti internazionali, che hanno imposto al nostro Paese di dare riconoscimento effettivo al principio della presunzione di non colpevolezza. (*AVVOCATO, CONS. GENERALE PARTITO RADICALE)