Si ripete, senza fortuna, che sulla giustizia servirebbe un confronto tecnico, anziché una guerra di religione. A offrire un paradigma di “civiltà possibile” nel dibattito è un esponente del Pd come Stefano Ceccanti, che da costituzionalista non esita a chiedersi «come evitare una richiesta di autorizzazione anche per Giusi Bartolozzi», a proposito della mancata estensione, alla capo Gabinetto di Nordio, dello “scudo” riconosciuto al guardasigilli, a Piantedosi e a Mantovano.

E quindi, onorevole Ceccanti, la falsa testimonianza contestata dal Tribunale dei ministri a Bartolozzi va considerata un presunto reato “connesso”, se non addirittura “in concorso” con i componenti del governo?

Chiunque legga l’atto proveniente dal Tribunale dei ministri, come in diversi avevamo segnalato già ad agosto, trova una obiettiva centralità dell’operato della capo di Gabinetto Bartolozzi, le cui azioni sono quindi indissociabili dai componenti del governo che hanno gestito la vicenda, centralità che poi si blocca al momento della richiesta di autorizzazione, dalla quale è esclusa. Ora, io apprezzo la finezza delle argomentazioni del presidente della Giunta Dori, che per di più conosco personalmente come parlamentare scrupoloso, e anche del relatore Gianassi, ma tutte queste sottili distinzioni non riescono a superare questo scarto obiettivo del Tribunale. Per di più, in termini di contesto politico, i gruppi di opposizione hanno costantemente criticato la capo di Gabinetto, descritta come il vero effettivo ministro della Giustizia, sia nel caso Almasri sia nella gestione del ministero. Come evitare quindi una richiesta di autorizzazione anche per lei? Questo la Giunta dovrebbe chiedere al Tribunale dei ministri.

Ma tecnicamente è possibile impugnare dinanzi alla Consulta, per conflitto di attribuzione, la richiesta di autorizzazione, avanzata nei confronti di ministri e sottosegretario, per l’omessa estensione a Bartolozzi?

Ovviamente sì, si può sollevare da parte della Camera un conflitto di attribuzione segnalando questa omissione, sarebbe un caso inedito ma motivato, però hanno torto i gruppi di maggioranza quando pensano di imboccare subito questa strada. Se ragioniamo in termini di leale collaborazione, la Giunta deve prima chiedere questa integrazione al Tribunale, insistendo sul fatto che l’assenza di richiesta sia contraddittoria con la parte di motivazioni. Analogamente a quanto fece il Presidente pro tempore Castagnetti nel caso Lunardi rispetto al cardinale Sepe. Non mi pare sia corretto sostenere, usando un precedente relativo a Berlusconi, che sia impedito ogni dialogo fra Parlamento e Tribunale. Un conto è una sorta di rimpallo generico sulla natura ministeriale di reati come in quel caso, un conto è una richiesta puntuale di integrazione. Il precedente è quello Lunardi, non Berlusconi.

Secondo lei, in questa vicenda, il vulnus decisivo è nell’iniziale mancata opposizione del segreto di Stato?

Certo, il governo si doveva assumere chiaramente quella responsabilità e non c’è dubbio che ha in qualche modo provocato l’iniziativa giudiziaria, perché a partire da quell’errore sono derivati vari comportamenti piuttosto discutibili oltre che confusi, e da lì l’inevitabile azione giudiziaria, che però deve rispettare le regole costituzionali.

C’è il rischio che alcune iniziative giudiziarie assunte in questa fase nei confronti di esponenti della maggioranza possano essere condizionate dall’alta tensione creatasi sulla separazione delle carriere?

Vorrei limitarmi al solo caso in questione per evidenziare i rischi a cui andiamo incontro, altrimenti rischiamo di costruire teoremi. Cosa dobbiamo temere se questo precedente viene gestito male? Il punto non è a chi giovi oggi una tesi giuridica su questo caso, ma gli effetti di sistema per il futuro. A mio avviso sarebbe lesivo dell’equilibrio fra magistratura e Parlamento se passasse il criterio di separare nell’azione concertata di un gruppo, che qui c’è stata, persone a cui l’autorizzazione è chiesta, e a cui sarà prevedibilmente negata, e altre che invece vengono affidate alla magistratura ordinaria. A quel punto il processo a queste ultime coinvolgerebbe comunque anche coloro a cui l’autorizzazione fosse stata negata, sia pure non come imputati. La volontà di preservare il governo dall’essere processato in caso di ragione di stato, che la legge costituzionale 1/ 1989 affida al Parlamento, sarebbe elusa. Oggi a danno del governo Meloni, ma domani ai danni di un Governo Schlein o Conte 3 o di qualcun altro.

È in effetti il punto centrale.

Non bisogna pensare al governo e al Parlamento di oggi, ma all’istituzione governo e all’istituzione Parlamento. Vedo che qualche giornale sostiene che il Tribunale dei ministri penserebbe a un proprio conflitto alla Corte anche per coloro a cui l’autorizzazione fosse negata contestando l’effettiva esistenza di una ragione di Stato. Ora è vero che è prevalso negli anni, per le delibere sulle prerogative parlamentari, un orientamento ad ammettere conflitti, ma in quei casi, specie sull’insindacabilità, ciò è avvenuto per tenere presenti diritti di terzi. Qui la legge 1/ 1989 parla di delibera parlamentare ‘ insindacabile’ perché decidere se vi è stata ragion di Stato è una scelta di carattere eminentemente politico, che non può essere delegata alla Corte costituzionale. Così come la Corte ha evitato di espandere i suoi poteri intervenendo con prudenza sul segreto di stato, materia analoga per politicità.

L’obiezione più seria sulla separazione delle carriere riguarda l’isolamento della magistratura requirente: davvero ci troveremmo di fronte a un super- pm privo di qualsiasi controllo?

Ci terrei a mantenere ora la separazione tra il giudizio sulla riforma costituzionale e quello sull’applicazione della Costituzione vigente sui reati ministeriali. Il giudizio, positivo o negativo, sulla riforma costituzionale non deve condizionare la valutazione dell’oggi. Di quella parleremo a suo tempo. Oggi invece dobbiamo decidere se prendiamo sul serio anzitutto la leale collaborazione, chiedendo al Tribunale di superare la sua contraddizione, e poi, in caso eventualmente negativo, se affidare alla Corte costituzionale la decisione se riconoscere o meno la lesione dell’equilibrio tra potere giudiziario e Parlamento dall’altra, che avverrebbe separando artificiosamente le richieste di autorizzazione.