Caro direttore, ho letto l’intervista nella quale il professore Adinolfi si duole assai perché la Presidente della commissione antimafia sostiene che dietro la campagna condotta dai direttori e dagli opinionisti del gruppo Caltagirone, ci sia la volontà di tutelare gli interessi dell’editore. Sicuramente non è così. Caro professor Adinolfi lei è un po’ distratto...

E Adinolfi fa bene a dirlo. Teneramente si dice poi amareggiato dalla volgarità dell’accusa.

Deve essersi distratto quando il direttore del suo giornale (” Il Mattino”) mi ha accusato di essere il capo di un ‘ sedicente universo’ di sinistra, che ha “cavalcato e difeso con i denti, contro ogni ragionevolezza, una legge fascista”.

Di essere l’autore di un ‘ paccotto’, avendo “stipulato un patto di reciproco interesse con una parte della magistratura militante e con un sistema dell’antimafia che dimostra il sottobosco consociativo e clientelare innervato nella politica, nella giustizia, nella burocrazia ministeriale e nelle professioni”.

E questo nella veste di tutore del pensiero liberale.

In quella di custode dell’ortodossia renziana mi ha invece accusato più o meno velatamente nell’ordine: 1) di aver dormito sulle irregolarità dell’inchiesta Consip perché distratto dalle primarie del PD. In comico pendant con il Fatto Quotidiano che mi ha accusato di esercitare la delega sulle intercettazioni per insabbiare lo stesso processo.

2) di aver fatto approvare la riforma del penale per ragioni di “protagonismo personale” mettendo in difficoltà Renzi, che Barbano deve reputare un inconsapevole, avendo approvato come presidente del Consiglio il DDL penale.

Con questi raffinati argomenti e questi toni garbati al Mattino si difende lo stato di diritto.

A nulla vale ricordare che nella riforma del penale è contenuta un’importante norma a favore dell’imputato che non piace alle Procure, e che impone ai PM di archiviare o rinviare a giudizio entro un termine congruo una volta chiuse le indagini; che la stessa legge contiene la delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario e quella sulle intercettazioni, così come quella sulla riserva di codice e quella sulle impugnazioni che limita la possibilità delle Procure di ricorrere. Tutto questo non riguarda la falange garantista del quotidiano napoletano, il cui leader arriva a mettere in questione lo stesso ruolo della commissione antimafia nella democrazia italiana.

Con buona pace di uomini come La Torre e Chiaromonte.

Ma di tutto questo Adinolfi non si è accorto. Era impegnato a leggere Reinhart Koselleck e riflettere sulla durezza della vita per i garantisti ad intermittenza.

* MINISTRO DELLA GIUSTIZIA