«Scontro di civiltà e di religione? Figuriamoci! L’Occidente e la Chiesa non hanno abboccato all’esca dell’Isis». Franco Cardini, storico e islamista fiorentino, non ha dubbi nello smantellare la retorica di Al-Baghdadi, nonostante l’escalation terroristica che sta colpendo duramente l’Europa e soprattutto la Francia.Quindi il fatto che l’ultimo attentato, quello nella chiesa di Rouen, sia avvenuto per la prima volta in un luogo di culto non alza l’asticella della jihad?Perchè si possa parlare di un cambio di obiettivo, non più luoghi pubblici ma luoghi di culto, bisognerebbe prima accertare l’ipotesi che dietro questi attacchi ci sia un disegno determinato. Ad oggi, la considero una tesi abbastanza infondata.Eppure l’Isis ha rivendicato l’attentato...La dichiarazione di Daesh (acronimo dell’Isis in lingua araba ndr) è ormai un trucco che non illude più nessuno. Manca la prova che l’obiettivo sia stato pianificato e non è stato dimostrato alcun contatto dei terroristi con il Califfato, nemmeno con i gruppi attivi in Francia. Anche se bisogna fare attenzione a parlare di “lupi solitari”. Un lupo normalmente esce da un branco e in questi giorni già abbiamo scoperto che uno dei ragazzi autori del gesto avevano parlato con i compagni nella moschea. Nessuno, però, gli aveva creduto, nemmeno l’imam.Nessuno scontro tra civiltà e tra religioni, quindi?Per avere uno scontro tra civiltà servono, appunto, due civiltà. Oggi esiste solo una cultura egemone ed è quella occidentale. Lo diceva già l’ayatollah Khomeyni nel 1979 nell’intervista a Oriana Fallaci: il mondo arabo ha fatto proprie tutte le qualità dell’Occidente, dalla politica alla tecnologia. L’unica cosa che non piace è la morale occidentale, ma da sola non basta per parlare di un modello di società araba indipendente e, nel caso, in lotta. Papa Francesco lo sa e per questo non abbocca nemmeno alla retorica della guerra religiosa, che è solo un alibi dietro cui si nascondono gli attacchi di soggetti borderline, che altrimenti sfogherebbero in altro modo le loro pulsioni distruttive.A proposito di intelligence, invece, proprio questo sembra essere il punto dolente per i francesi.Dovrebbero imparare dagli inglesi, che in questi anni hanno investito moltissimo in intelligence e soprattutto in infiltrati sul territorio e negli ambienti terroristici, sfruttando il loro passato coloniale. Anche l’Italia dovrebbe cominciare a muoversi in questa direzione.Anche i francesi possono vantare un passato coloniale, per quale ragione non hanno seguito la stessa strada?Il colonialismo francese è abissalmente diverso da quello inglese. Gli inglesi puntavano all’integrazione, i francesi invece all’assimilazione. Non gli bastava il conformismo, volevano che tutti i popoli diventassero culturalmente francesi, estirpando le loro tradizioni. Lo si vede anche oggi, che la Francia vieta alle donne musulmane di portare il hijab, il velo tradizionale che copre la testa e il petto e che non è molto diverso da quello che portava mia nonna.Proprio questo potrebbe essere considerato una causa dell’escalation di attentati proprio in territorio francese?Può essere considerata una delle concause. Un’altra è la criminale politica di Hollande dopo l’attacco del 13 novembre 2015 al Bataclan: in quell’occasione il governo francese ha bombardato senza pietà la città di Raqqa, in Siria, che era stata conquistata da Daesh. Un attacco ridicolo se non avesse ottenuto l’infame risultato di uccidere circa 4mila cittadini e forse una quindicina di miliziani jihadisti. Questi gesti contano e non è equanime continuare con la retorica dell’autoassoluzione dell’Occidente.Anche sul fronte conservatore, Sarkozy ha detto che «bisogna essere spietati» contro i terroristi.Mi piacerebbe chiedere a Sarkozy che cosa significa «spietati». Una risposta secondo le leggi della nostra società può essere severa, ma il concetto di spietatezza richiama quello di ecatombe. Chi colpiranno inutilmente questa volta?E, soprattutto, a cosa servirebbe?A Nulla. I miliziani di Daesh sono al massimo 90mila e sono sparsi tra la Siria e l’Iraq. La Nato ha arato il deserto negli ultimi due anni con oltre 10mila incursioni, ma il Califfato esiste ancora. La base della strategia militare insegna che, prima di colpire, bisogna costringere il nemico a riunirsi in una zona circoscritta.E ora a che punto è lo scontro?L’armata di Al-Baghdadi si sta dissolvendo. Gli ultimi attacchi lo hanno finalmente indebolito e il Califfo ha dovuto rinunciare al suo progetto territoriale di creazione dello Stato islamico. Ora sta aspettando la fine, puntando però sulla creazione di centri terroristici autonomi nel cuore dell’Europa. Probabilmente ha fondamento la teoria secondo la quale esiste un rapporto di proporzionalità tra le sconfitte militari di Daesh e l’aumento degli attentati in Europa.Mentre l’Europa viene colpita al cuore, in America si celebra il maggiore rito democratico dell’Occidente. Una sfida appassionante?Guardando ai candidati Hillary Clinton e Donald Trump, l’atteggiamento mentale generalizzato è quello di chiedersi quale dei due sia il male minore. Sono entrambi pessimo candidati, ma se all’inizio il coro era unanime in favore di Hillary, ora l’esito non è più così certo.Gli eccessi di Trump non spaventano più?Mi ha stupito il fatto che non abbia ancora attutito i suoi slanci. Però la politica americana ha dei meccanismi rodati per incistare i presidenti fuori dalle righe. Trump è accompagnato da una cattiva fama, ma io sono convinto che da presidente non darebbe seguito a nessuna delle sue sparate più assurde, dai muri con il Messico all’espulsione di tutti i musulmani dal Paese.In cosa la Clinton non la convince?Clinton ha fatto in grande ciò che ha fatto Matteo Renzi nel Pd: una politica spostata a destra in un partito di sinistra. E’ una donna intelligente e agirà come è nella sua indole, cercando di recuperare l’egemonia in Medio Oriente e di rimettere in scena una sorta di Guerra Fredda con Putin. Ha già iniziato, insistendo sul pericolo della destabilizzazione e sul fatto che lui si consideri un nuovo Zar. Sta scavando un fossato tra Oriente e Occidente e la colpa non è certo tutta della Russia.E dunque, se lei fosse americano, per chi voterebbe in novembre?La sera prima del voto farei una bella cena con gli amici, di quelle in cui si discute amichevolmente di politica e si alza un po’ troppo il gomito. La mattina dopo, sfortunatamente, non sarei abbastanza in forma per andare a votare.