«Il mio è un No fermo e responsabile, un No senza equivoci e ambiguità». Il tre volte premier, fondatore e presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi spiega a Il Dubbio la sua ridiscesa in campo contro la riforma costituzionale renziana. E avverte: «Il Patto del Nazareno appartiene a una stagione finita per sempre. Se vince il No le riforme si dovranno fare su basi ben diverse». Parla anche di Craxi e D’Alema. E dei ricordi personali più cari: «Spero che mio padre e mia madre siano orgogliosi di me». Presidente Berlusconi, sono state date molte interpretazioni al suo No, alcuni lo interpretano ancora come un Ni. Ma è un fatto che lei è in campo contro la riforma costituzionale di Renzi. Perché, quindi, No? Un fermo e responsabile No, senza equivoci e senza ambiguità. Prima di tutto perché questa riforma produrrebbe un effetto intollerabile: renderebbe di fatto impossibile la vittoria del centro-destra alle elezioni politiche. Anche se noi ottenessimo la maggioranza dei voti alla Camera, infatti, Renzi avrebbe comunque automaticamente assicurato il controllo del Senato con il 60% dei seggi. Questo perché i senatori non sono più eletti, ma nominati dalle regioni, e il Pd controlla 17 regioni su 20, quindi ovviamente sceglierà solo senatori di suo gradimento. Il Senato conserva grandi poteri e potrebbe bloccare l’attività del nostro governo, se gli italiani alle urne scegliessero il centro-destra. Al contrario, con queste norme a Renzi basterebbe ottenere il 30% dei voti validi per avere in mano il Governo, la Camera e il Senato, e quindi poter determinare i massimi organi di garanzia, dal Presidente della Repubblica ai Giudici Costituzionali. Ma il 30% dei voti significa il 15% degli italiani, visto che ormai purtroppo la metà degli elettori non va a votare. Dunque con il consenso di un italiano su 6, con solo il 15-20% degli aventi diritto al voto, Renzi potrebbe avere in mano il Paese, e potrebbe diventare il padrone dell’Italia e degli italiani. Questo intendo quando dico che la riforma è un vestito cucito su misura su Renzi. E’ una cosa assurda, inaccettabile, intollerabile, ingiustificabile, perché cancella il concetto stesso di democrazia. Lei ha detto che Mediaset vota Sì per paura di ritorsioni. Pensa quindi che Renzi potrebbe davvero vendicarsi e in che modo? Non ho detto esattamente questo. Mediaset non fa politica, ed è logico, perché un grande gruppo della televisione commerciale, che si rivolge ad un pubblico generalista, deve rispettare le idee di tutti gli spettatori. Se non lo facesse perderebbe ascolti e gli inserzionisti non lo perdonerebbero. Ho soltanto definito logico il fatto che un’azienda non assuma un atteggiamento ostile al governo. Non teme che con una vittoria del No, Grillo si prenda troppo spazio? Non vedo perché. Anzi è proprio con questa riforma che si potrebbe regalare ai grillini il controllo della Camera dei Deputati. Dopo la vittoria del No starà alle forze politiche responsabili proporre una soluzione per il governo del Paese. Renzi ha fallito, al di là della riforma costituzionale, perché il suo governo non ha risolto nessuno dei problemi che doveva affrontare: la disoccupazione non scende, il debito pubblico cresce, la tassazione è altissima, l’immigrazione clandestina è incontrollata, il ruolo dell’Italia in Europa è irrilevante. Di fronte a questo fallimento, e al fatto che i grillini palesemente non sono in grado di governare una città, e quindi tantomeno il Paese, tocca a noi proporci come guida responsabile e credibile per il Paese. In caso di sconfitta del premier, quale soluzione propone? Mi sembra indispensabile sedersi intorno ad un tavolo per riscrivere la legge elettorale, in modo condiviso, stavolta su base proporzionale. E poi andare alle urne, restituire finalmente la parola agli italiani. E’ il caso di ricordare che dal 2008 i cittadini non hanno più avuto la possibilità di scegliere da chi essere governati. L’ultimo governo scelto dagli elettori è stato il nostro, abbattuto nel 2011 con un vero e proprio colpo di stato, favorito anche da ambienti politici ed economici internazionali, con una regia di Palazzo. È stato uno dei cinque colpi di stato, avvenuti in Italia negli ultimi 25 anni, che hanno gravemente alterato e condizionato la democrazia in Italia. Che altro termine si potrebbe usare, quando una manovra di palazzo ai limiti della legalità ribalta il voto degli elettori? Lei opta per il proporzionale, quindi prevede larghe intese? Io opto per il proporzionale per una questione di rappresentatività: fino a quando esisteva il bipolarismo, chi vinceva le elezioni otteneva oltre il 50% dei voti, o almeno arrivava molto vicino a questo numero. Quindi un correttivo maggioritario attraverso il premio di maggioranza consentiva al vincitore delle elezioni di avere numeri parlamentari che avrebbero consentito la governabilità (il 55% dei Parlamentari), senza stravolgere la volontà degli elettori. Ora che il sistema è tripolare, ma in realtà molto più sfaccettato, il vincitore delle elezioni - come abbiamo già visto - potrebbe essere il leader di un partito che ha ottenuto solo il 15% dei voti reali degli italiani. Questa è una distorsione che in democrazia non si può accettare. Il proporzionale porta a larghe intese? Non necessariamente. La Dc ha governato cinquant’anni con il proporzionale senza mai ricorrere, tranne il breve periodo del compromesso storico, alle larghe intese. Noi naturalmente puntiamo a vincere, e a governare. Se poi gli elettori, che sono sempre sovrani, non indicheranno un vincitore certo, saranno stati loro a rendere necessaria una coalizione più allargata. Vedremo. Al di là dei retroscena su un ritorno al “Patto del Nazareno”, lei sembra davvero non fidarsi più di Renzi. È così? Se vince il No sarà lui che si dovrà fidare di lei? Non ne farei un problema di fiducia. Il Patto del Nazareno appartiene ad una stagione finita per sempre. Se vince il No le riforme si dovranno fare su basi ben diverse. Mi aspetto che Renzi, o chiunque sia il leader del PD, abbia un atteggiamento responsabile su questo, come lo avremo noi. Se la Corte europea dei diritti dell’uomo darà parere favorevole al ricorso contro la sua condanna per frode fiscale e la sua ineleggibilità dovuta all’applicazione retroattiva della legge Severino, lei si candiderà di nuovo per Palazzo Chigi? Oggi questo tema non è all’ordine del giorno. Quello che aspetto con impazienza, dopo tre anni di attesa, è che la Corte si pronunci su un caso che non riguarda un privato cittadino – cosa che sarebbe comunque molto importante – ma la vita democratica di uno dei maggiori Paesi europei, un caso che riguarda le scelte di milioni di elettori. Proprio per questo mi auguro che la Corte si pronunci presto. Il premier è a caccia dei suoi voti. Pensa che abbia chance oppure che le sue possibilità di sfondamento si siano esaurite con i 500.00 voti presi al centrodestra alle elezioni europee? Credo che i nostri elettori, più che verso il PD, si siano rifugiati nell’astensionismo. In ogni caso, mi pare che le speranze di Renzi di occupare il centro dello scenario politico, il cosiddetto Partito della Nazione, siano naufragate da tempo. I sondaggi e i risultati delle elezioni locali sono molto chiari. Il PD anche nella sua versione renziana non attrae il voto dei moderati, che però – delusi dalla politica – tendono a rimanere a casa. Noi dobbiamo ricuperarli con un progetto politico serio, concreto, credibile nei contenuti e per i protagonisti che si impegneranno a realizzarlo. Renzi è berlusconiano? Molti dicono che è il suo vero erede. E’ così? Non è così. Io sono un liberale, Renzi è un prodotto della sinistra DC, io sono un imprenditore che ha fondato grandi aziende, lui ha fatto sempre e solo politica, io in 20 anni ho avuto dagli italiani quasi 200 milioni di voti, lui al massimo è stato eletto sindaco di Firenze con 112.000 voti, e lo dico con tutto il rispetto per quella meravigliosa città. Mi sembra che non ci somigliamo poi tanto, non crede? C’è pure chi paragona il premier a Bettino Craxi. Che ne pensa? Qualche analogia c’è, soprattutto nei difetti: una certa arroganza ed impulsività l’aveva anche il mio amico Bettino. Però Craxi aveva una grande visione, un progetto per cambiare radicalmente la politica italiana. Non è riuscito a portarlo a termine, anche grazie alla magistratura, ma certamente ha cambiato la storia della sinistra nel nostro Paese. Renzi è un uomo di potere, con caratteristiche da leader, certamente, ma non ha un’idea di Italia da perseguire. Con Stefano Parisi è davvero finita? Ma perché i giornali si ostinano ad usare questo linguaggio? Non stiamo parlando di una storia d’amore. Il dottor Parisi è stato un ottimo candidato sindaco a Milano, dove ha sfiorato il successo, e poi si è proposto, in accordo con me, di svolgere un’opera di allargamento del centro-destra, coinvolgendo, su contenuti liberali e popolari, ambienti che erano lontani dall’impegno politico con noi. Non l’ho mai designato come delfino, come è stato scritto, anche perché non sono il Re di Francia, né lui a onore del vero, mi ha mai chiesto di diventarlo. In democrazia le leadership si conquistano sul campo, con il consenso. E a proposito di consenso, mi sono limitato ad osservare una cosa addirittura ovvia: chi volesse fare il leader di una coalizione non può pensare di farlo criticando e attaccando i membri di questa coalizione. Questo conflitto con la Lega e con buona parte di Forza Italia lo rende oggettivamente impossibilitato a guidare il centro-destra, ammesso che questo sia il suo obbiettivo. Lui ha sempre detto di voler solo creare non un suo partito ma un movimento d’opinione, che arricchisca il centrodestra di idee e di uomini. Se ci riuscirà – non è un compito facile – sarà positivo per tutti noi, e in questo senso gli faccio i miei più cordiali auguri. Lei ha compiuto 80 anni, ma fa politica quasi da meno anni di Renzi, perché discese in campo a 58 anni. Cosa rappresentano i suoi 80 anni? Sono troppi o ancora troppo pochi per fare il padre nobile? Non so rispondere a questa domanda. Io ho cinque figli che adoro, faccio il nonno di 10 meravigliosi nipotini, e questo mi basta per quanto riguarda il ruolo di pater familias. È d’accordo con le primarie che chiedono Salvini e Meloni e vi parteciperebbe? Le primarie hanno senso dove c’è una legge che le regola. Ho comunque dei dubbi che si adatterebbero al caso italiano, visto che non abbiamo una tradizione bipolare consolidata. E poi, mi scusi, primarie per cosa? Che senso ha tutto questo dibattito oggi? Non sappiamo con quale sistema elettorale si voterà, non sappiamo se vi sarà o no la necessità di indicare un candidato premier, non sappiamo quali saranno le regole del gioco, e già vogliamo trovare un elemento di divisione nel centrodestra? (Per quanto mi riguarda personalmente, poi, mi pare che il risultato delle primarie lo abbiamo già dato molti milioni di italiani, ogni volta che mi sono candidato.) Renzi parla di vecchi amori tra D’Alema e lei. D’Alema le ha riconosciuto il valore di politico di razza. Le ha fatto piacere? E che rapporto ha ora con lui? Ringrazio l’onorevole D’Alema per l’apprezzamento, ma in verità io non credo di essere un “politico di razza”. Credo di essere un italiano come tanti, che ha fatto il suo lavoro e ha provato a farlo bene, e che ad un certo punto ha sentito il dovere di lasciare un’attività che lo appassionava per dedicarsi al suo Paese che rischiava di cadere in cattive mani. Credo di essere rimasto quello che ero, non sono diventato un politico di professione, né sinceramente ho mai aspirato a diventarlo. I politici di professione hanno fatto il male della nostra democrazia, si sono chiusi nei loro palazzi, hanno perso di vista non solo i problemi, ma anche il linguaggio della gente. Non per caso, in tutto il mondo, e l’elezione di Trump lo dimostra, gli elettori rifiutano quel modello di politici. Massimo D’Alema è un politico di professione, e rivendica con orgoglio questa sua condizione. Posso apprezzarne la franchezza nell’affermarlo, posso dire che fra i politici di professione è uno dei più capaci e più preparati, ma resto convinto che la categoria dei politici di professione non faccia il bene dell’Italia. Dopo aver superato il delicato intervento al cuore e aver compiuto 80 anni si è recato a “L’Isola”, il quartiere di Milano dove viveva con i suoi genitori. Con quale stato d’animo è tornato indietro da quel viaggio nella memoria? È difficile esprimere l’emozione di riguardare all’indietro la propria vita. I ricordi e le emozioni sono tanti e contrastanti. Forse ne prevalgono due: da un lato il rimpianto per chi non c’è più, mio padre, mia madre, la mia sorellina Etta, dall’altro, facendo un primo e provvisorio bilancio, la certezza e la soddisfazione di aver agito sempre come i miei genitori mi hanno insegnato a fare. Avrò commesso qualche errore, come ogni essere umano, ma non c’è nessuno al mondo che possa dire che Silvio Berlusconi gli abbia fatto del male, gli abbia portato danno intenzionalmente. E forse – non starebbe a me dirlo – qualcosa di buono come padre, come amico, come imprenditore, come politico ed anche come appassionato di calcio l’ho fatta. Penso spesso ai sacrifici che i miei genitori hanno fatto per me, come per i miei fratelli, per educarci, per farci studiare, per darci delle opportunità nella vita. Spero che in Cielo mio padre e mia madre siano orgogliosi di me.