Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) è la forza militare di interposizione che opera sul confine israelo- libanese, lungo la “Blu line”. Il portavoce della missione delle Nazione Unite è Andrea Tenenti. Il funzionario Onu si trova a Beirut e vive in Libano da molti anni. Nonostante il momento delicato, Tenenti vuole essere ottimista.

«La soluzione per questo conflitto c’è», dice al Dubbio: «Occorre implementare la risoluzione 1701 del 2006 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha tutti gli elementi per far sì che si possano fermare le ostilità. Le parti in causa, Israele e Libano, devono credere davvero nell’implementazione della risoluzione del 2006, che ha già fermato la guerra quasi vent’anni fa, con un dispiegamento di forze militari libanesi molto più massiccio nel sud del Libano, con un controllo del territorio e con la delimitazione esatta del confine, la “Linea blu” che è un non confine, alla quale stava lavorando Unifil. Dal 2006 all’ottobre 2023 il sud del Libano ha vissuto uno dei momenti più tranquilli della sua storia».

Dottor Tenenti, in questi giorni i rischi per la missione Unifil aumentano sempre di più? Le attività dei caschi blu sono state fermate?

La missione, che comprende anche il contingente italiano con poco più di mille soldati, non corre dei rischi solo in questi giorni. È quasi un anno, dall’ottobre 2023, che ci sono scontri quotidiani. Quindi, i rischi ci sono stati e ci sono. Negli ultimi giorni c’è stato un aumento non solo delle tensioni, ma anche dei bombardamenti che hanno provocato la morte di più di 700 persone in meno di 48 ore in diverse parti del Libano, a partire dall’area Sud. La situazione è abbastanza preoccupante. Mantenere la sicurezza di tutti i contingenti è però una delle priorità della missione. Quando ci sono scontri a fuoco o bombardamenti, è importante per i caschi blu rimanere all’interno delle basi. Non ci sarebbe nessun tipo di giovamento a fare pattugliamenti mentre ci sono bombardamenti.

Israele potrebbe invadere il Libano. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha detto che il Paese dei cedri è “sull’orlo del baratro” e che “si rischia una nuova Gaza”. Un’altra catastrofe in Medio Oriente che potrebbe vanificare gli sforzi di Unifil?

Sì, potrebbe verificarsi una catastrofe. Nonostante lo scenario attuale e lo scenario futuro, la missione Unifil prosegue. Eravamo qui anche nel 2006, durante la precedente guerra tra Libano e Israele, quando gli israeliani sono entrati in territorio libanese, e la missione è rimasta. Oggi operiamo in virtù della risoluzione 1701 del 2006 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ogni discussione e decisione spetta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite se dovessero mancare le condizioni per lavorare all’interno dell’area di competenza e con il mandato della 1701. Al momento siamo operativi. Il comandante della missione, il generale Aroldo Lazaro, continua a lavorare a livello di diplomatico per cercare di abbassare il livello delle tensioni e mantenere aperto un canale di comunicazione con entrambe le parti.

Unifil svolge un ruolo di mediazione in questo momento? Parlate sia con i libanesi che con i comandi israeliani?

Il capo della missione parla con le autorità libanesi. Il mandato non ci autorizza a parlare con partiti politici, quindi con Hezbollah o con altri gruppi. Parliamo con l’esercito libanese, che riferisce a sua volta a Hezbollah. Ci sono anche altri canali di comunicazione non ufficiali che intervengono in questo momento e ci confrontiamo direttamente con le forze armate israeliane. Potremmo quindi parlare di un ruolo di mediazione

per tentare di abbassare le tensioni. Unifil non ha una capacità politica, essendo una missione di pace che deve seguire un mandato. Possiamo in qualche modo cercare di facilitare un certo tipo di dialogo per riportare la stabilità nel sud del Libano. Il vero dialogo, le vere negoziazioni vengono fatte da diversi Stati. In questi giorni risalta l’attivismo degli Stati Uniti e della Francia, che hanno indicato la possibilità di un cessate il fuoco. Una soluzione sostenuta pure dall’Italia. L’obiettivo è cessare quanto prima questo conflitto che potrebbe espandersi ed assumere un carattere regionale con conseguenze catastrofiche. Voglio ricordare che Unifil si occupa di 450 attività giornaliere, tutte coordinate con le forze armate libanesi che rimangono i nostri partner. Molte attività sono anche condotte autonomamente. In alcune situazioni ci sono state delle incomprensioni, ma il bilancio è molto positivo. Il contingente italiano si distingue per l’assistenza alle comunità locali anche di tipo medico e veterinario,

I villaggi libanesi che si trovano nei pressi della Blu line sono ancora abitati o si stanno svuotando?

Si stanno svuotando. Dall’ottobre dell’anno scorso, fino a qualche giorno fa, più di 120 mila persone hanno lasciato il sud del Paese. Una fuga che non si arresta. Negli ultimi quattro giorni circa 90 mila persone sono andate via. Ci sono più di 200 mila sfollati su una popolazione di mezzo milione di abitanti nel sud del Libano.

Un'eventuale invasione del Libano implicherebbe maggiori difficoltà, rispetto alla Striscia di Gaza, per Israele?

Gli israeliani hanno invaso il Libano diverse volte. L'ultima volta è stata nel 2006. Il territorio libanese è diverso da Gaza, è molto complicato. Inoltre, Hezbollah è radicato in questa parte del Paese. Hezbollah non è arrivato nel sud del Libano dal nulla, potremmo dire che è la gente del sud. Hezbollah ha una conoscenza approfondita del territorio che presenta caratteristiche ben precise, con monti e vallate, per esempio. Va aggiunto che, rispetto al passato, a livello tecnologico le cose sono molto cambiate. Si pensi all’utilizzo dei droni. I bombardamenti israeliani sono massicci e hanno già provocato la morte di circa 700 persone, quasi il totale delle vittime della guerra del 2006 durata 34 giorni.