Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione Giustizia e relatore della legge sul suicidio assistito, sui referendum della giustizia spiega che «se proseguiremo in modo rapido all’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, due o anche tre quesiti referendari potrebbero essere assorbiti da essa» e puntualizza che «quello che viene venduto come quesito che mira a ridurre la custodia cautelare in carcere in realtà riguarda tutte le custodie cautelari, non solo quella in carcere».

Onorevole Bazoli, qual è la reazione del Pd ai cinque quesiti su sei riguardanti il funzionamento della giustizia ammessi a referendum dalla Corte costituzionale?

Intanto farei una valutazione di natura più generale per dire che trovo largamente sopravvalutato l’impatto e l’importanza di questi quesiti referendari in tema di riforma della giustizia. Credo che se si mette a confronto il loro contenuto con quello delle riforme già approvate o in corso di approvazione, soprattutto sui temi riguardo al rispetto delle garanzie, dei tempi dei processi, della trasparenza dell’azione giudiziaria e delle procure, appaia chiaro che essi vengono affrontati in maniera molto più incisiva dalla riforma del penale e anche da quella del Csm. Bisognerebbe, insomma, fare una valutazione più proporzionata fra i temi dei referendum e tutta la mole di riforme contenuta nelle leggi delega già approvate e in quelle in corso d’approvazione.

In concreto, quale giudizio date sui cinque quesiti ritenuti ammissibili dalla Corte?

Siamo convinti che se proseguiremo in modo rapido all’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, due o anche tre quesiti potrebbero essere assorbiti da essa, in particolare quello sulla presenza degli avvocati nei consigli giudiziari, quello sulla separazione delle funzioni e quello della presentazione delle firme per le liste. In particolare quest’ultimo verrebbe meno a seguito di una riforma del sistema elettorale che vada verso l’impianto maggioritario.

Focalizziamoci sulla presenza degli avvocati nei consigli giudiziari. A che punto è il cammino di riforma tale per cui potremmo non arrivare a referendum?

La presenza degli avvocati nei consigli giudiziari è una questione su cui anche noi come Pd abbiamo fatto le nostre iniziative, presentando emendamenti alla riforma del Csm. Quindi figuriamoci se non siamo d’accordo. Pare che la ministra Cartabia intenda accogliere la richiesta, attribuendo diritto di voto agli avvocati in quanto esponenti dei consigli dell’ordine su mandato dei rispettivi consigli, nel momento in cui ci sia stata una segnalazione preventiva di qualche manchevolezza da parte di qualche magistrato.

Tolti i tre quesiti di cui sopra, rimarrebbero quello sulla legge Severino e quello sulle misure cautelari. Qual è la vostra posizione a riguardo?

C’è molta mistificazione e invito a fare chiarezza. Quello che viene venduto come quesito che mira a ridurre la custodia cautelare in carcere in realtà riguarda tutte le custodie cautelari, non solo quella in carcere. Mira invece a eliminare, fra i tre requisiti necessari per imporre una misura cautelare, cioè il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato, quest’ultimo requisito. In caso di rischio di reiterazione del reato, insomma, non ci sarebbe più alcuna possibilità per un giudice di applicare qualunque misura cautelare, anche quella più lieve come il divieto di espatrio.

Quindi voterete contro?

Occorre una riflessione, perché i due quesiti colgono certamente alcuni aspetti problematici, l’uno l’eccessivo ricorso alla custodia cautelare, l’altro alcune storture evidenti sulla legge Severino, ma ho forti dubbi che quesiti così radicali siano coerenti con la necessità di intervenire in maniera puntuale su aspetti che sono pur tuttavia problematici e che si mira a risolvere. Se i due quesiti non dovessero essere assorbiti dalla discussione in corso, faremo le nostre valutazioni. Faccio notare che anche sulla Severino c’è già un’iniziativa parlamentare in corso per togliere gli aspetti più discutibili. Vedremo.

L’unico quesito sulla giustizia non ammesso a referendum è quello sulla responsabilità civile dei magistrati, che forse è quello più sentito tra la popolazione. Qual è il suo parere?

Prendiamo atto della decisione della Corte. Tuttavia debbo dire che in caso di ammissione del quesito sarei stato fermamente contrario, perché non c’è alcun paese europeo che prevede la responsabilità diretta dei magistrati. C’è sempre un filtro, perché la responsabilità civile diretta espone i pm a un’alta possibilità di ricatto ed espone l’esercizio dell’attività giudiziaria a enormi rischi. I referendum sono sempre un grande esercizio di democrazia e quindi era auspicabile un voto anche su questo, ma certamente non condividevo l’obiettivo del quesito in sé perché arrivare alla responsabilità diretta dei magistrati può essere pericoloso.

C’è chi parla di Corte politicizzata, dopo il no ai quesiti su cannabis e omicidio del consenziente. Da relatore della legge sul suicidio assistito, cosa ne pensa?

Le decisioni della Corte si possono discutere e anche criticare. Ma non mi sento di condividere la lettura per cui la Corte abbia assunto queste decisioni per ragioni di natura più politica che tecnica. Le ragioni tecniche sono state spiegate, si possono condividere o meno ma faccio osservare sommessamente che parliamo della stessa Corte che ha aperto all’aiuto al suicidio. Non si può criticare la Corte quando nega accesso al referendum sull’omicidio del consenziente e poi apprezzarla quando apre al suicidio assistito. Insomma, non mi avventurerei in valutazioni di questa natura sull’omertà della Corte.