«Non saranno riforme fatte con il solo scopo di velocizzare il processo penale, dovranno, contemporaneamente, offrire del processo penale un’idea fortemente costituzionale. E credo che oggi, come non mai, ci sia nel Paese la sensibilità giusta per dire basta alla sommarietà dei processi mediatici». L’idea di giustizia del sottosegretario Francesco Paolo Sisto è chiara: fatta di garanzie, di rispetto per tutte le parti e di celerità. Senza quelle distorsioni capaci di rendere quanto avviene fuori dalle aule penali più punitivo di ciò che accade al loro interno, al punto da «hackerare» il senso della giustizia penale. «La comunicazione mediatica - dice Sisto al Dubbio -, ove offra l'idea di un imputato considerato colpevole prima del tempo, è profondamente incostituzionale». Un aspetto della giustizia contemporanea è la sua mediaticità, che spesso si traduce in processi anticipati e irreversibili celebrati sui giornali e in tv. La riforma affronterà questo problema? Il processo mediatico è, per emendamenti, già all’interno delle tematiche di discussione della riforma. Il suo effetto è quello di opacizzare e aggredire i diritti di vittime e imputati, perché deforma, e spesso travolge, determinati parametri di carattere normativo. Il rischio è quello di un “hackeraggio”, una lettura distorta di quello che avviene all’interno del processo in grado, addirittura, di condizionarlo. Il vero principio che deve imperare è non soltanto quello del giusto processo, ma anche quello della presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva. L’articolo 27 secondo comma è chiaro: si è considerati non colpevoli fino a sentenza definitiva. La parola "considerato" non è casuale: afferisce anche all’immagine, alla percezione, al messaggio che viene fatto passare. E un processo mediatico che mortifichi la presunzione di non colpevolezza è un processo incostituzionale, perché considera tutti fatalmente colpevoli nella sede dove non c'è difesa, la pubblica opinione. Dove bisognerebbe intervenire? Si pensi alle conferenze stampa di seguito agli arresti, le "feste cautelari", nonostante le misure hanno tutto fuorché il carattere della definitività; si pensi ai protagonismi di certi magistrati, alle interviste rilasciate su processi in corso e ultimo, ma non ultimo, al diritto all’oblio: abbiamo trasformato la rete in una sorta di casellario anomalo, quasi trash, dov’è possibile trovare di tutto e di più. Questa comunicazione inquina, disturba e trasforma negativamente le garanzie all’interno del processo. E il processo mediatico rende tutti vittime, sia le persone offese sia gli indagati. In una sorta di percorso catartico di recupero delle categorie e delle garanzie costituzionali, leitmotiv inevitabile di queste riforme, ritengo si debba valutare di eliminare ciò che disturba la corretta e garantita individuazione dei diritti di vittime e imputati. Il tutto, sia chiaro, nel pieno rispetto del diritto all’informazione, che deve però essere necessariamente costituzionalmente orientato. Un diritto che viene dalla Costituzione non può che vivere nella Costituzione. Ieri, al Festival della giustizia penale, ha evidenziato l’esigenza di introdurre criteri selettivi più stringenti per la costituzione di parte civile. Cosa intende dire? L’idea parte dallo spirito delle riforme, che vanno lette in modo obbligatoriamente sistematico. La velocizzazione del processo non può che avere una lettura che connetta processo civile e penale. Com’è scritto nella relazione Pisapia al codice di procedura penale dell’87-88, consentire la costituzione di parte civile serve a rendere più celere l’accesso ai diritti patrimoniali delle vittime del reato. Se noi velocizziamo il processo civile, è naturale pensare che nell’ambito del processo penale possa effettuarsi un discorso selettivo su chi possa costituirsi parte civile. Il moltiplicarsi delle costituzioni, a volte caratterizzate da finalità... eccentriche, comporta evidenti e note lungaggini. Se il processo civile diventa più veloce si può ben pensare di selezionare con più severità i soggetti legittimati a prendere parte al processo. È una riflessione che, a mio parere, va proposta, tenuto conto che il soggetto che deve avere necessariamente titolo a costituirsi parte civile è soprattutto chi è direttamente offeso dalla condotta illecita. Fa già parte delle proposte emendative? È uno dei temi di riflessione sul quale ci si dovrà necessariamente confrontare, come tutti gli altri provvedimenti tesi a velocizzare il processo: l’ispessimento del filtro all’udienza preliminare e per l’archiviazione, l’ampliamento dei riti alternativi, la giustizia riparativa, fondamentale per la tutela della vittima e per consentire la riappacificazione dell’imputato con il processo. In questa logica, anche eliminare il processo mediatico è una forma di riconciliazione processuale. L’altro tema, in termini di accelerazione, è quello della prescrizione. Nelle formulazioni della Commissione Lattanzi, si cerca di accelerare i tempi di primo grado, appello e Cassazione. In definitiva, i rimedi approntati costituiscono una terapia variegata, una sorta di aggressione a tenaglia alle lungaggini processuali. Ciò include il recepimento della direttiva europea sulla presunzione d’innocenza? È stata inserita nella legge di delegazione europea per recentissima scelta del Parlamento, su impulso della ministra Cartabia. Sarà il Parlamento a stabilire come meglio definire la questione. Dalmio canto, avverto solo l’esigenza di restituire al processo penale una sua purezza, una sua identità. Le distorsioni mediatiche hanno provocato una sorta di progressiva e insinuante decostituzionalizzazione, con il rischio che ciò che è esterno al processo penale sia più sanzionatorio rispetto allo stesso processo. Il tema, a mio avviso, registra una grande sensibilità in questo momento nel Paese. Forse è l’occasione giusta: le riforme non avvengono mai per caso. Ho la netta sensazione che i segnali che ci devono riportare alle garanzie, ai pilastri, ai principi del processo penale, soprattutto quelli di matrice costituzionale, siano, oggi come non mai, chiari e forti, quasi imperativi .Ci sono altre questioni che le Corti europee ci hanno segnalato, come l’esigenza di un giudice terzo per autorizzare l’acquisizione dei tabulati. Questo tema verrà trattato? La sentenza in questione chiarisce che il giudice è la garanzia per determinate “invasioni” della riservatezza, un principio che è già nel nostro codice e che qualche volta merita di essere rimarcato. Ma attendiamo che il Parlamento assuma le proprie determinazioni. Quello che, sul metodo, posso assicurare è che ci sarà, subito, un pieno confronto con i gruppi delle commissioni parlamentari. Il metodo, che mi sembra corretto e in qualche modo innovativo, è chiaro: riflessione giuridica approfondita, confronto con i protagonisti e solo dopo ci si affaccia nelle aule parlamentari. Secondo l’interpretazione data da alcune sentenze della Cassazione, il patteggiamento si traduce in una sorta di “ammissione di colpevolezza” con risvolti in sede civile. È previsto qualche correttivo? Per ridurre i tempi del processo penale è indubbio che gli strumenti alternativi al giudizio ordinario vadano rinvigoriti. Patteggiamento e giudizio abbreviato sono istituti deflattivi che non hanno avuto il successo che avrebbero meritato, forse perché non sufficientemente convenienti. Il che non significa rinunciare alla sanzione, ma cercare una intelligente mediazione. Nella visione del governo, il carcere non rappresenta l’unica alternativa alla libertà e viene affermata la forte componente rieducativa della pena. È evidente che per alleggerire e abbreviare i tempi i riti alternativi devono avere maggiore appeal. L’intento è ampliare il ricorso a questi strumenti per ridurre il numero dei processi, che sono troppi, ed evitare quelli inutili. Mi auguro, in ogni caso, che il senso di responsabilità di tutti i gruppi possa essere il baricentro su cui innestare la rapidità quanto la doverosità di questo intervento. Non ci sarà spazio per piantare bandierine? C’è chi, come il M5S, su temi come la prescrizione rivendica la propria azione passata.Credo che bisognerà comunque rendersi conto che le riforme "s'hanno da fare", perché da ciò dipendono i rapporti economici con l'Europa. Poi sarà il Parlamento, con la democrazia dei suoi numeri, a decidere percorsi e mete. Come insegnano i giuristi più saggi, la migliore transazione è quella che lascia tutti un po’ scontenti. Ecco, alla fine non dobbiamo avere paura - e forse dobbiamo paradossalmente cercare - di essere tutti un po’ scontenti: questo significherà raggiungere il miglior obiettivo nell’interesse del Paese.