«Il rancore è un sentimento radicato in una società circolare basata sull’incertezza. In periodi di crisi può produrre comportamenti, anche politici, di stampo populista molto pericolosi spesso basati sull’individuazione di un capro espiatorio. Il rancore produce sempre chiusura e per questo sono necessari rimedi che io colgo nella cura e nell’operosità che fortunatamente attraversano la società di pari passo con la paura». Aldo Bonomi, sociologo italiano e curatore della rubrica “Microcosmi” per Il Sole 24 ore, nonché autore di numerose opere come Elogio della depressione (2011, con lo psichiatra Eugenio Borgna) e Il capitalismo in-finito. Indagine sui territori della crisi (2013), da tempo si dedica al tema delle paure individuali e collettive che attraversano le nostre società liquide e postmoderne.In un periodo storico e politico in cui sembra proprio la paura a dominare la scena pubblica abbiamo scelto lui per fare un punto della situazione sulle fobie che ci attanagliano e soprattutto per consigliarci qualche antidoto al veleno del rancore…Professor Bonomi, siamo un paese impaurito? Da cosa?Prima di parlare della paura, comincerei ad analizzare la situazione a partire da un ragionamento più ampio. Qualche anno fa ho scritto un libro che si intitola Sotto la pelle dello Stato con sottotitolo “Rancore, Cura, Operosità”. Queste tre parole sono fondamentali per cogliere il cambiamento di paradigma antropologico, sociale ed economico nel quale siamo immersi: nel ‘900 l’impianto sociale era verticale cioè basato sul conflitto capitale-lavoro con lo Stato in mezzo e, o proprio con il conflitto, oppure con l’ascensore sociale si mitigavano incertezze e paure che attraversavano la società riuscendo a creare una società basata sul benessere. I destini dei figli erano migliori di quelli dei padri e questa consapevolezza produceva certezze. Poi, nel tardo ‘900, siamo passati ad una seconda fase, la società orizzontale. Una società del dentro e del fuori basata sul capitalismo molecolare che faceva sentire escluso e quindi impaurito chi non riusciva ad essere soggetto d’impresa.Oggi che fase stiamo vivendo?Stiamo attraversando un’altra fase ancora, quella della società circolare basata sui flussi: flussi finanziari, tecnologici (penso ad esempio alle internet company), flussi migratori: la famosa società liquida. La sensazione che si ha è che questi flussi ci sovrastino ed è quindi abbastanza comprensibile l’insorgere di paure collettive.Parlava di “rancore”, “cura” ed “operosità”…Sì. Il rancore è un sentimento radicato in una società circolare basata sull’incertezza. In periodi di crisi può produrre comportamenti, anche politici, di stampo populista molto pericolosi, spesso basati sull’individuazione di un capro espiatorio. Il rancore produce sempre chiusura e per questo sono necessari rimedi che io colgo nella cura e nell’operosità che fortunatamente attraversano la società di pari passo con la paura. Quando parlo di cura non penso solamente alle importantissime attività di volontariato ma anche a tutte quelle figure sociali come gli insegnanti, gli assistenti sociali o i medici che svolgono un lavoro di inclusione sociale. Sarebbe importante che anche il sindacato e tutti quelli che una volta si chiamavano corpi intermedi svolgessero una funzione di cura. Oscilliamo tra bisogno e voglia di cura e rancore e questo è molto evidente se pensiamo al tema delle migrazioni: da una parte emerge l’empatia e la volontà di soccorrere ma dall’altra c’è sempre la paura del diverso in agguato. La paura e la fiducia sono prodotti sociali e più li si utilizza più si alimentano ed è qui che entra in gioco l’operosità. Dobbiamo lavorare sulla prospettiva di una comunità operosa che tranquillizzi la società dando una visione di futuro.In che modo?Dobbiamo occuparci degli impauriti, prendere per mano la società della paura. Mi viene sempre in mente il tema dei migranti perché è davvero dirimente: bisogna far capire alle persone che la solidarietà e l’accoglienza sono le uniche risposte possibili perché, oltre al fattore umanitario, anche demograficamente le migrazioni sono necessarie a un’Europa sempre più vecchia. O penso anche alla cosiddetta sharing economy, è urgente rispondere alle esigenze di chi se ne sente escluso: il tema del reddito, delle nuove povertà.Che ruolo giocano i media nella fabbrica delle paure?I media nella società circolare non sono semplicemente mezzi di comunicazione ma sono parte attiva dei grandi flussi che attraversano il mondo e possono quindi generare paura come fiducia a seconda dei casi. Internet, in questo senso, è paradigmatico.Ha fatto molto discutere nelle ultime settimane il caso di Doina Mattei, la donna condannata per l’omicidio di Vanessa Russo che in libertà vigilata ha postato su Facebook una sua foto al mare nella quale sorrideva. E’ bastato questo per scatenare l’indignazione del web e ributtarla in cella.Questo caso risponde sempre alla logica del capro espiatorio ed evidenzia un evoluzione in negativo della società, un sentimento di vendetta e odio diffuso. Mi viene in mente la famosa citazione di Bertolt Brecht: «Prima vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e tacqui perché mi erano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti ed io non parlai perché non ero comunista.Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”.Sempre nei media si fa un gran parlare di emergenze: emergenza sbarchi, emergenza rom, emergenza criminalità. Questo insistere sulla dimensione emergenziale non può che gonfiare i timori sociali, non crede?Sì, emergenza è una parola chiave ed è proprio sulla retorica dell’emergenza che nascono le grandi fobie collettive come appunto quella dei rom. Mi piace però pensare che questa parola, “emergenza”, possa anche essere connotata di un significato positivo. Penso alla visita di Papa Francesca a Lesbo, dai profughi. Il Pontefice in quel caso ha voluto far emergere il dramma di queste persone indicando nella cura e nell’operosità, delle quali parlavamo in precedenza, le chiavi di volta per affrontare questo nodo epocale.