Sopra ogni cosa, la «ragionevolezza». Quando si parla di obbligo vaccinale per tutti, per il professor Michele Ainis - giurista e componente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) - bisogna lasciarsi guidare da questo principio che la nostra Costituzione sancisce, seppure non è scritto nero su bianco. «Soltanto la legge può imporre un trattamento sanitario obbligatorio», chiarisce.

Ma anche in una situazione di rischio, come la pandemia, la legge deve rispondere a un criterio di proporzionalità rispetto alla condizione di pericolo esterno. «Può darsi che la salvezza dei molti, dipenda dal sacrificio dei pochi», ricorda Ainis prendendo in prestito le parole con cui la Consulta giustificò l’obbligo vaccinale contro la poliomielite nel 1996: si tratta delle «scelte tragiche del diritto».

Professore, il nodo è delicato: con il via alla vaccinazione di massa, si pone l’ipotesi della somministrazione obbligatoria per tutti o per alcune categorie. Ci ricorda cosa prevede la nostra Carta in questi casi?

La Costituzione declina la salute come un diritto, non come un dovere. E questo ha una serie di riflessi sulla autodeterminazione di ciascuno, della disponibilità cioè di ciascuno del proprio corpo. In tal senso, l’articolo 32 della Carta riflette un principio fondante: il diritto alla privacy. Che rappresenta una barriera contro l’invadenza dei poteri pubblici e privati nella sfera di determinazione dei singoli. Questa è la prima faccia del diritto alla salute, per altro l’unico che viene proclamato fondamentale. Poi però la Costituzione prevede i trattamenti sanitari obbligatori, tra cui certamente ricadono le vaccinazioni. L’obbligo del vaccino è dunque possibile, perché nonostante quanto detto, c’è un interesse a tutelare la salute altrui.

A quali condizioni?

La Costituzione ne esprime due, più una implicita: la regionevolezza di questa misura e la sua proporzionalità alle condizioni di fatto in cui l’obbligo viene deciso. Deve sussistere un pericolo esterno, e l’obbligo deve essere proporzionato rispetto alle condizioni di questa situazione esterna.

E i primi due paletti?

Occorre che l’obbligo sia imposto per legge, e che la legge non violi il rispetto della persona umana, della sua dignità. A me sembra molto importante che la Costituzione preveda l’intervento della legge, perché è lo strumento attraverso il quale la politica prende le proprie decisioni sovrane. E in questo caso la politica significa la maggioranza parlamentare: che la maggioranza stabilisca l’obbligo generalizzato o per categoria, si tratta di una scelta politica a cui consegue una responsabilità politica. Saranno poi gli italiani a valutare e faranno semmai valere questa responsabilità al prossimo turno elettorale, punendo o premiando i partiti che l’hanno assunta.

In occasione del suo discorso di fine anno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto che «vaccinarsi è un dovere». Mentre il neo eletto presidente della Consulta, Giancarlo Coraggio, ha parlato di «obbligo morale».

I doveri costituzionali hanno quasi sempre un timbro etico. Come il dovere di lavorare o di votare: chi se ne sottrae diventa oggetto di “disapprovazione” costituzionale. A proposito del vaccino anticovid, c’è sicuramente un dovere morale: proteggere la salute altrui.

Pensa, ad esempio, ai medici e agli operatori sanitari?

Come paziente, ci si trova in ospedale in una condizione di fragilità per la quale si può non essere in grado di adottare le misure di protezione che altrimenti si adotterebbero. Quindi si profila una responsabilità di chi lo ha in cura, del medico che non può essere certamente il veicolo dell’infezione. Il malato, in quanto categoria fragile, ha diritto a una maggiore protezione, e comunque a non subire il rischio di infezione come è successo in tantissimi casi nel corso dell’emergenza sanitaria. In questo caso, una legge che imponga l’obbligo alla categoria potrebbe essere ragionevole e compatibile con la Costituzione.

Valga lo stesso per altre categorie professionali? Il giurista Pietro Ichino ha spiegato che, in alcune situazioni, l’obbligo per i dipendenti è giuridicamente previsto dall’articolo 2087 del codice civile che riserverebbe al datore di lavoro la facoltà di licenziare per giusta causa colui che mette a rischio la sicurezza altrui.

Per una volta mi sento in disaccordo con Ichino. Non si può costruire in termini civilistici questa problematica che è invece pubblicistica. Cioè, se il lavoratore, decidendo di non vaccinarsi sta esercitando un proprio diritto, allora non si può certo licenziarlo. Io credo che sia ragionevole immaginare che la vaccinazione avvenga su base volontaria. Ho molti dubbi sull’obbligo praticato sui dipendenti pubblici, che spesso lavorano in condizioni di assoluta sicurezza. Dopodiché, se in una seconda fase ci accorgessimo che gli italiani non ne vogliono sapere, o che non si riesca a raggiungere l’immunità di gregge ( con il 70% di popolazione vaccinata, ndr), si potrebbe stabilire l’obbligo, anche generalizzato.

A proposito del piano vaccinale proposto dal governo, si è discusso dell’ipotesi di prevedere un accesso prioritario per detenuti e personale penitenziario. Lei è d’accordo?

Sì, perché le carceri sono luoghi iper affollati e quindi i detenuti sono sottoposti a un rischio maggiore, essendo in una situazione di promiscuità forzata. Come i malati, i detenuti non possono autodeterminarsi.

Lei si vaccinerà?

Lo farò. Voglio ricordare che nel 1996 la Corte Costituzionale, nel giustificare la scelta del vaccino obbligatorio contro la poliomielite, parlò di «scelte tragiche del diritto». E disse, grossomodo: «È vero, statisticamente alcuni di loro a cui viene somministrato il vaccino antipolio contraggono la malattia anziché esserne protetti. Può darsi che la salvezza dei molti, dipenda dal sacrificio dei pochi». In quell’occasione, l’obbligo stabilito per legge finì sotto lo scrutinio della Consulta, così come ci finirebbe una legge che domani ponesse l’obbligo del vaccino anticovid.