Professor Ainis, quali conseguenze ha l’utilizzo della firma digitale per i referendum? 

Il risultato è quello che vediamo: uno strumento considerato morto e sepolto e distante dal sentimento generale, visto che l’ultimo che superò il quorum fu quello del 2011 sull’acqua pubblica e il nucleare, oggi ha una nuova linfa. Tuttavia credo che dipenda solo in parte dalla possibilità di firmare online, anche se questo certamente aiuta.

È comunque un passo avanti per la partecipazione dei cittadini alla vita politica?

Mi vien da dire meglio tardi che mai, nel senso che a livello europeo c’è già la possibilità di un’iniziativa legislativa popolare che per essere attivata richiede un milione di sottoscrizioni, e si può firmare online. Ora ci siamo arrivati anche noi e d’altra parte era un passaggio in qualche modo ovvio, perché il mondo si è evoluto, così come la democrazia e le sue istituzioni. Questi strumenti hanno sburocratizzo il procedimento e da qui è arrivato l’ottimo successo della raccolta firme su eutanasia e cannabis.

Quali altri motivi hanno spinto centinaia di migliaia di cittadini a firmare online in pochi giorni?

Credo che ci sia una ragione prettamente politica. A causa dell’emergenza, magari non per responsabilità dei governi Conte e Draghi, la capacità di prendere decisioni centralizzate è aumentata e il Parlamento, che già era il grave malato delle nostre istituzioni, si è aggravato ancor di più. Voglio dire che la centralità del Parlamento, benedetta dai regolamenti parlamentari del 1971 e che era nella mente dei costituenti, è diventata marginale.

Con quali conseguenze?

I cittadini votano per eleggere i parlamentari, non i ministri, e quindi sentono in qualche modo di aver perso il proprio ruolo. La perdita di peso politico del Parlamento significa anche una cessione di quote di sovranità popolare, e così i referendum diventano un modo per recuperare questa cifra di sovranità, cioè di decisione di governo da parte dei cittadini. Ma c’è una terza chiave di spiegazione.

Prego. 

Questi referendum hanno a che fare con i temi etici, come eutanasia e droghe leggere, e su questi temi il Parlamento è rimasto paralizzato non da oggi da veti incrociati per cui non riesce a prendere delle decisioni. Il referendum, con la sua scelta binaria tra sì e no, ha invece una vocazione ad affrontare questi nodi, e non a caso il primo fu sul divorzio, poi sull’aborto. La partecipazione è tanto più alta quanto più sia comprensibile l’oggetto del referendum. Ecco perché quelli elettorali quasi sempre naufragano: sono esercizi per la categoria degli addetti ai lavori. Mentre quelli etici la gente li sente vicini, perché parlano dei problemi reali delle persone.

Crede, come hanno spiegato altri studiosi, che dovrebbe essere alzato il numero di firme per chiedere un referendum, rispetto alle attuali 500mila?

Questa legislatura era cominciata con l’idea di aggiungere all’arsenale dei referendum un’altra freccia, cioè quella del propositivo. Invece si va concludendo con una sorta di paura diffusa dei referendum e si cerca perciò di smorzarne la capacità dirompente. Come diceva Pitigrilli: «si nasce incendiari e si muore pompieri». È vero che 500mila firme nel 1947 avevano un valore diverso da oggi, perché i cittadini erano meno. È altrettanto vero però, come detto, che l’iniziativa legislativa popolare europea si accontenta di un milione di firma su basi 450 milioni di cittadini. Non vorrei dunque che tutto questo ragionamento servisse a gettare acqua sul fuoco dei referendum. Certo serve una disciplina rigorosa, garantita dai dettami dell’articolo 75 e dal giudizio della Corte costituzionale sull’ammissibilità dei quesiti.

A questo proposito, c’è chi propone di anticipare il giudizio dopo un certo numero di firme per poi riprendere la raccolta, onde evitare che una volta raccolte le 500mila necessarie queste vengano poi cestinate. È d’accordo?

Anticipare il giudizio è anche giusto, ma non vorrei ci fosse un retropensiero per bloccare i quesiti, pensando al giudizio negativo che la Corte in passato ha avuto sulla loro ammissibilità. Mi auguro che sia la stessa Corte a regalarci una maggiore libertà sui referendum, perché è vero che i suoi membri si alternano per garantirne l’indipendenza ma temo che nella politica l’anticipazione del giudizio sia spesso una scusa.

Crede che il fossato tra comitati promotori e cittadini da una parte e Parlamento dall’altra sia così profondo da rendere impossibile una retromarcia, ad esempio sull’eutanasia?

Dobbiamo augurarci il dialogo e la reciproca comprensione delle ragioni altrui. Ma tutti questi anni, circa una ventina, passati da quando per la prima volta venne proposta una disciplina del fine vita, hanno incattivito gli animi e reso diffidenti gli uni degli altri. Ricordo che su un quesito referendario il Parlamento può intervenire, perché se modifica la legge oggetto della proposta di abrogazione sulla linea di quanto chiesto dai promotori il referendum non si tiene. Se invece viene modificata solo formalmente il referendum rimane e si trasferisce sul nuovo testo che è sostanzialmente identico.

Un’altra proposta è quella si abbassare, o togliere del tutto, il quorum del 50 per cento più uno. Qual è il suo parere?

Vorrei osservare che il referendum costituzionale, che è il più importante di tutti, non ha quorum, come si usa fare in Svizzera. In Italia ne abbiamo fatti tre e hanno tutti superato la soglia del 50 per cento più uno pur non essendo necessario. Inoltre il quorum si è prestato a sotterfugi, ad esempio nel caso di quello sulla fecondazione assistita dal 2005, tali per cui, come scrisse Norberto Bobbio, «l’astensione è un trucco». Non penso che debba essere eliminato, ma credo la proposta di rapportarlo alla percentuale di votanti alle ultime elezioni politiche sia sensata.

Ha senso la proposta di referendum contro il green pass organizzata in questi giorni?

Vedo che c’è molto biasimo verso questa iniziativa referendaria sul green pass. Non so se c’è anche un po’ di paura rispetto agli esiti di un molto ipotetico referendum. Ma siccome tutti i sondaggi attestano che circa l’80 per cento degli italiani è favorevole al green pass, se il referendum si facesse e il referendum confermasse questo risultato, alla fine esso stesso sarebbe una forma di legittimazione attraverso una decisione diretta dei cittadini. Insomma chi raccoglie firme contro il green pass rischia di fare un favore ai pro green pass. Quindi se dovesse arrivare ben venga.