Il tema del clima si è imposto con uno straordinario salto di qualità di fronte all’opinione pubblica di tutto il mondo. L’elemento scatenante è stato il fenomeno mediatico “Greta“. Ma c’è un aspetto essenziale ancora non sottolineato. Quel risultato non ci sarebbe stato senza l’intervento decisivo di quella che in Italia si chiamerebbe la “vecchia politica”. Non è un’affermazione paradossale. E’ stata l’aula delle Nazioni Unite il moltiplicatore e la cassa di risonanza globale per il fenomeno Greta.

E quest’aula è stata messa disposizione, con un preciso calcolo sulle prevedibili conseguenze, dal segretario generale Antonio Guterres. Il quale è esattamente un politico di professione: il più tradizionale che si possa immaginare. Militante delle organizzazioni universitarie cattoliche, giovane funzionario del partito socialista a Lisbona all’indomani della liberazione dal Salazarismo, è diventato responsabile dell’organizzazione, poi deputato ( dal 1976) e braccio destro di Soares ( padre storico dei socialisti portoghesi), poi segretario del partito e capo del governo per sette anni ( sino al 2002). È stato quindi a lungo presidente dell’Internazionale Socialista e infine direttore del UNHCR ( l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati con sede a Ginevra).

Un vecchio professionista della politica non per questo deve essere considerato banale o avido di potere. L’ho frequentato per decenni e ho appena scritto un libro su di lui: Antonio Guterres: l’anti Trump. Un socialista all’ONU.

È un fisico e scienziato di formazione, diventato economista da autodidatta. All’Internazionale, chiamava i suoi interlocutori “compagni” in cinque lingue, perché parla perfettamente portoghese, spagnolo, francese, inglese e anche un po’ italiano. Ha rinunciato al posto di presidente della Commissione Europea ( andato poi a Prodi) per assistere la moglie molto malata ( che infatti è morta).

Lasciata la carica di Primo Ministro portoghese, faceva ( assolutamente di nascosto) volontariato a modo suo: dando lezioni di matematica agli studenti poveri nella periferia di Lisbona. E’ cattolico e tollerante. Quando in Portogallo si è posto il problema del matrimonio gay, ha detto ai suoi: «Io sono contrario e voto no, ma è un problema di coscienza, non di partito. Ciascuno fa come crede». I socialisti votarono a favore e la legge passò.

Se si leggono i suoi discorsi, si capisce bene perché ha puntato sul fenomeno Greta. Infatti ha sempre considerato il clima e l’immigrazione di massa come i grandi problemi del nostro tempo: profondamente interconnessi, perché spesso sono i mutamenti climatici a far emigrare milioni di persone. Guterres è convinto che gli Stati nazionali siano ormai anacronistici ( altro che sovranismo!). È pertanto un appassionato europeista e di più: un multilateralista che vede nelle Nazioni Unite l’embrione per un futuro governo del mondo. Per questo può essere definito “l’anti Trump”.

I socialisti portoghesi si sono formati in Italia durante la dittatura di Salazar. Il futuro presidente della Repubblica Soares ha lavorato a Roma nella sede del Psi in via del Corso. Tito de Moraes faceva nella tipografia dell’Avanti! in via della Guardiola il mensile clandestino O Portugal socialista, che ricostruì dall’esilio il partito. Guterres viene da questa storia. L’ho sentito commemorare a Roma ( in italiano) Pietro Nenni ricordando che era il continuatore di Filippo Turati. Il quale un secolo fa predicava non soltanto gli Stati Uniti d’Europa, ma gli Stati Uniti del mondo ( verso i quali l’unità politica europea doveva costituire un primo passo).

Quest’ultimo tema ( gli Stati Uniti del mondo) diventa di straordinaria attualità proprio per il clima. Perché l’inquinamento si combatte solo con decisioni prese e rigorosamente attuate contestualmente in tutto il mondo. Serve a poco ridurre le emissioni nocive in Germania o Italia se poi in Africa, Asia o Brasile si continua a inquinare come prima. Soprattutto, i Paesi emergenti resistono alle restrizioni sulle emissioni nocive e per convincerli occorrono incentivi economici straordinari. Ciò che si può fare soltanto con un piano costruito da un’autorità politica sovra nazionale.

Non è vero che, nei Paesi emergenti, a rifiutare le misure ecologiche sono soltanto i politici di estrema destra, come il presidente brasiliano Bolsonaro ( ammirato da Salvini e a sua volta ammiratore di Trump). Molti anni fa, ho incontrato a San Paolo il sindaco Juanio Quadros, ex presidente brasiliano, uomo di sinistra e assolutamente democratico, simbolo della lotta contro la dittatura dei generali oggi rimpianta da Bolsonaro. Alt, ci disse quando gli si parlò dell’Amazzonia: «Se continuate, mi alzo e me ne vado. L’Europa era una foresta. L’avete completamente distrutta per diventare ricchi. E adesso volete impedire a noi di sfruttare l’Amazzonia?».

Quadros veniva spesso a Milano per curare la moglie all’Istituto dei Tumori, conosceva qualche parola e le nostre espressioni. Perciò concluse: «Chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto? No. Così non va».

Sul clima, anche i bambini capiscono che l’atmosfera terrestre è una sola, da Sydney a New York, e che la sfida si vince o si perde tutti insieme. Ma il clima è la punta dell’iceberg. Aiuta a cogliere il problema di fondo, che Guterres conosce bene e che porta a valutazioni esattamente opposte a quelle dei sovranisti.

Oggi tutto è globale: l’inquinamento ( come si è visto), ma anche la finanza, la tecnologia, lo spettacolo, la moda ( o meglio le mode), lo sport, persino il crimine. In un mondo inevitabilmente globalizzato, soltanto la politica è rimasta inchiodata nei confini nazionali. E pertanto non conta più nulla, si è resa ridicola e persino odiosa. Se tutto è globale, bisogna che anche la politica diventi globale. Ed ecco l’obiettivo degli Stati Uniti del mondo.

Turati li sognava un secolo fa. Guterres li persegue oggi. For- se, i ragazzini scesi in piazza per Greta in tutti i Continenti ( o i loro figli e nipoti) li vedranno.

Certo, grazie alla mobilitazione sul clima, una nuova generazione ha cominciato a capire che i problemi del mondo ( tutti i più importanti, non solo quello dell’inquinamento) sono globali. E richiedono risposte globali. Conoscendolo, giurerei che Guterres mal sopporta l’aggressività di Greta e dello staff che la guida. Pur essendo un ecologista della prima ora, non condivide un certo catastrofismo e fondamentalismo.

I professionisti della politica appartenenti alla sua generazione hanno infatti sentito gli “anticapitalisti” del tempo spiegare dal 1973, dopo la crisi petrolifera, che bisognava andare a piedi perché certamente i pozzi si sarebbero presto esauriti. Hanno anche visto come le imprese private sappiano spesso trasformare le difficoltà e i nuovi bisogni in opportunità, specialmente se orientate da governi modernizzatori. E infatti l’economia “verde”, dalla produzione di energia rinnovabile alle auto elettriche, è diventata ormai una grande occasione di sviluppo.

Guterres è un socialdemocratico e riformista. Come tale, punta ai passi graduali: il primo, per preservare l’ambiente, lo ha favorito proprio lui, guidando come presidente di turno dell’UE, nel 2000, la famosa conferenza europea di Lisbona, che ha fissato tra l’altro gli obbiettivi basilari, validi ancor oggi, per lo “sviluppo sostenibile”. Il segretario delle Nazioni Unite non ama le estremizzazioni: ha però compiuto un’operazione che con gli strumenti tradizionali non sarebbe riuscita.

Se i Trump, i Bolsonaro e i Salvini hanno imposto l’agenda sovranista con armi ” non convenzionali”, i politici democratici “anti Trump” come lui hanno rivitalizzato l’agenda “internazionalista” e ecologista con altrettanta abilità.