È il primo vero test: sarebbe esagerato dire che le sorti e soprattutto la fisionomia dipendono da quel che gli elettori diranno domenica prossima ma di certo il responso delle urne inciderà più a fondo di qualsiasi sondaggio.

Ufficialmente si sottopone al verdetto del popolo votante il “campo largo” di Enrico Letta. La realtà è più modesta: l’obiettivo è centrato sull’alleanza per la prima volta ufficiale tra Pd e M5S. In 18 comuni su 26 i due partiti sostengono lo stesso candidato, e del gruppo fanno parte tutti e 4 i capoluoghi di regione ( Genova, Palermo, L’Aquila e Catanzaro).

Il Nazareno dà già per persa la piazza principale, quella di Palermo, dove destra e renziani sostengono insieme l’ex rettore Roberto Lagalla. La situazione per il centro- sinistra, che Bersani e Conte preferiscono definire “il campo progressista”, è molto difficile anche nei capoluoghi della Liguria e dell’Abruzzo. A Genova Marco Bucci è dato per probabile vincitore già al primo turno, a L’Aquila Pierluigi Biondi è in testa rispetto alla candidata Pd- 5S Stefania Pezzopane. Qualche chance in più c’è per “il campo” a Catanzaro, dove il centrodestra è diviso, Lega e Fi da una parte, FdI dall’altra, e la spaccatura mette in gioco il candidato di Letta e Conte Nicola Fiorita.

La vittoria in una città feudo della destra come il capoluogo calabrese sarebbe un buon tonico anche per le prospettive dell’asse Pd- 5S che, mai stato troppo solido, ha preso ultimamente a traballare sempre di più. In realtà le chances che i due partiti si dividano, salvo improbabile modifica della legge elettorale, sono molto esigue.

Giuseppe Conte è costretto dalle circostanze a indossare panni che poco gli si confanno: quelli del frondista, quasi del dissidente all’interno della maggioranza. Per restituire identità e appeal a un partito che in cinque anni ha dilapidato buona parte dei consensi di cinque anni fa e soprattutto che ha smarrito ogni fisionomia politica, non può fare altro. Ma è deciso a difendere quasi a ogni costo l’alleanza con il Pd, necessaria per correre al Senato con questa legge elettorale, e la scelta degli ultimi giorni di stemperare al massimo la tensione in vista del dibattito sulla guerra del 21 giugno conferma che, polemiche da comizio a parte, il leader dei 5S non ha alcuna intenzione di forzare la mano sino a dividere il campo, largo o stretto che sia, in comproprietà con Letta.

Qualche problema in più potrebbe crearlo il Tribunale di Napoli, che probabilmente ha congelato la sentenza sulla leadership dei 5S proprio per non interferire con la prova elettorale. Se dovesse confermare la non liceità dell’elezione di Conte, l’ex premier sarebbe fortemente tentato di uscire dalle sabbie mobili in cui si dibatte da mesi uscendo dal Movimento per dar vita a un suo partito, nella convinzione che ormai sia molto più lui a trainare il Movimento del contrario. Tra i dirigenti e i parlamentari lo seguirebbero molti ma non tutti. Il prezzo in termini di consenso sarebbe salato. Conte conquisterebbe una libertà di movimento maggiore di oggi, dovendosela vedere con un Di Maio all’offensiva, ma si ritroverebbe leader di un partito probabilmente al di sotto del 10 per cento. Il Nazareno è ottimista, convinto che alla fine Conte eviterà la rottura e che comunque, anche come capo di un nuovo partito, sarebbe ancor più costretto all’alleanza.

Uno dei problemi di questo test, però, è proprio che non sarà facile valutare l’apporto dei 5S. Tra i 978 comuni che voteranno domenica sono presenti solo in 67.

In Sicilia, dove nel 2018 avevano vinto a man bassa, i 5S presentano liste solo in 4 comuni sui 120 che voteranno. Il mancato responso sullo stato dei 5S dopo l’alleanza ufficiale con il partito di Letta non risolverà dunque i rovelli del Pd.

Gli strateghi del Nazareno sono convinti che la prova sarà comunque vincente: perché il partito migliorerà le posizioni in termini di voto percentuale, anche se un peso notevole è assegnato all’esito del testa a testa con FdI per la palma di primo partito, e non dovrebbe perdere ( il condizionale è d’obbligo) nessuno dei comuni principali nei quali è al governo.

Ma, comunque vada, l’ultimo vero test prima delle elezioni politiche lascia irrisolto il principale problema di Letta: per vincere ha bisogno di tenere insieme sia l’ala sinistra ( LeU e Conte) sia i centristi. Per ora il leader dem è lontanissimo dal centrare quell’obiettivo.