lla signora Marcelle Tinayre

A Io ho visto dei giudici incorruttibili, disse Giovanni Marteau. - Li ho visti dipinti. Ero passato nel Belgio per sfuggire a un magistrato curioso, il quale pretendeva che io avessi congiurato con gli anarchici. Io non conoscevo i miei complici e i miei complici non conoscevano me. Ma questa non era una difficoltà per quel magistrato, cui nulla imbarazzava, nulla istruiva e nondimeno faceva sempre delle istruttorie.

La sua mania mi parve pericolosa. Passai nel Belgio e mi fermai ad Anversa, ove trovai da occuparmi come commesso di drogheria. E una domenica, al museo, io vidi due giudici incorruttibili in un quadro di Mabuse. Essi appartenevano a una specie perduta : voglio dire che erano dei giudici ambulanti, di quelli che camminavano al piccolo trotto del loro puledro. Dei soldati a piedi, armati di lance e di partigiane, formano la loro scorta.

Questi due giudici, capelluti e barbuti, portano, come i re delle vecchie Bibbie fiamminghe, un’acconciatura del capo bizzarra e magnifica che ha a un tempo del berretto da notte e del diadema. Le loro vesti di broccato sono tutte a fiorami. Il vecchio maestro ha saputo dare loro un’aria di gravità, di calma e di dolcezza.

I cavalli sono buoni e calmi come i loro cavalieri. Tuttavia essi non hanno, questi giudici, né lo stesso carattere né la stessa dottrina. Ciò si vede subito, a prima vista. L ’ uno tiene in mano una carta e mostra col dito il testo. L ’ altro, con la mano sinistra sul pomo della sella, solleva la destra con maggiore benevolenza che autorità. Egli sembra tenere fra il pollice e l’indice una polvere impalpabile, e questo gesto della sua mano premurosa indica un pensiero prudente e sottile. Essi sono entrambi incorruttibili, ma visibilmente il primo si attiene alla lettera, il secondo allo spirito delle leggi. Appoggiato al tramezzo che li separa dal pubblico, io li ascoltai parlare.

Disse il primo giudice : — lo mi attengo a ciò che è scritto. La prima legge fu scritta sulla pietra, affinché durasse quanto il mondo.

Rispose l’altro giudice : — Ogni legge scritta è già scaduta. Giacché la mano dello scriba è lenta e la mente degli uomini è agile e il loro destino instabile.

E quei due buoni vegliardi proseguirono la loro conversazione silenziosa: Primo giudice. - La legge è stabile.

Secondo giudice. - In nessun momento la legge è stabile.

Primo giudice. - Poiché deriva da Dio, la legge è immutabile.

Secondo giudice. - Prodotto naturale della vita sociale, la legge dipende dalle condizioni instabili di questa vita.

Primo giudice. - La legge è la volontà di Dio, che non muta mai.

Secondo giudice. - La legge è la volontà degli uomini, che muta incessantemente.

Primo giudice. - La legge fu prima dell’uomo e gli è superiore.

Secondo giudice. - La legge è dell’uomo, imperfetta come lui, e come lui perfettibile.

Primo giudice. - Giudice, apri il tuo libro e leggi quello che è scritto. Imperocché è Dio che l’ha dettato a coloro che credevano in lui: «Sic locutus est patribus nostris, Abraham et semini eius in saecula».

Secondo giudice. - Ciò che è stato scritto dai morti sarà cancellato dai vivi, senza che la volontà di quelli che non sono più s’imponga a quelli che sono ancora, e che i morti siano i vivi e i vivi i morti.

Primo giudice. - Alle leggi dettate dai morti i vivi debbono obbedienza. I vivi e i morti sono contemporanei davanti a Dio. Mosè e Ciro, Cesare, Giustiniano e l’imperatore di Allemagna ci governano ancora, giacché noi siamo loro contemporanei davanti all'Eterno.

Secondo giudice. - I viventi debbono osservare le leggi dei viventi. Zoroastro e Numa Pompilio non valgono, per istruirci su quello che è permesso e su quello che è proibito, il ciabattino di Santa Gudula.

Primo giudice. - Le prime leggi ci furono rivelate dalla Saggezza infinita. Una legge è tanto migliore in quanto è più prossima a questa sorgente.

Secondo giudice. - Ma non vedete che ogni giorno che passa si fanno nuove leggi e che le Costituzioni e i Codici differiscono secondo i tempi e secondo le nazioni?

Primo giudice. - Le nuove leggi derivano dalle antiche. Sono i giovani rami di uno stesso albero, che lo stesso succo nutrisce.

Secondo giudice. - Il vecchio albero delle leggi distilla un succo amaro.

Continuamente bisogna lavorarvi di accetta.

Primo giudice. - Il giudice non deve ricercare se le leggi sono giuste, poiché giuste esse lo sono necessariamente. Egli non deve che applicarle giustamente.

Secondo giudice. - Noi dobbiamo ricercare se la legge che applichiamo è giusta o ingiusta, perché, quando noi l’abbiamo riconosciuta ingiusta, ci sia possibile apportarvi qualche temperamento nell’applicazione che noi siamo obbligati a farne.

Primo giudice. - La critica delle leggi non è compatibile col rispetto che noi dobbiamo ad esse.

Secondo giudice. - Se noi non ne vediamo i rigori, come potremo addolcirle?

Primo giudice. - Noi siamo giudici e non legislatori e filosofi.

Secondo giudice. - Noi non siamo che uomini.

Primo giudice. - Un uomo non potrebbe giudicare gli uomini. Un giudice, quando è nel suo seggio, si libera della sua umanità.

Egli si divinizza, e non sente più nè gioia nè dolore. Secondo giudice. - La giustizia che non è resa con simpatia è la più crudele delle ingiustizie. Primo giudice. - La giustizia è perfetta quando è letterale.

Secondo giudice. - Quando non è spirituale, la giustizia è assurda.

Primo giudice. - Il principio delle leggi è divino e le conseguenze che ne derivano, anche le minime, sono divine. Ma ancorché la giustizia non fosse tutta di Dio e se essa fosse tutta dell’uomo, bisognerebbe applicarla alla lettera. Giacche la lettera è stabile, e lo spirito è volubile.

Secondo giudice. - La legge è interamente opera dell’uomo e nacque imbecille e crudele nei deboli esordì della umana ragione. Ma quand’anche fosse di essenza divina, bisognerebbe seguirne lo spirito e non la lettera, perché la lettera è morta e lo spirito è vivo.

Avendo così parlato, i due giudici incorruttibili misero piede a terra e si recarono con la loro scorta al Tribunale ove erano attesi per rendere ciascuno la sua giustizia. I loro cavalli, attaccati a un palo, sotto un grande olmo, conversarono insieme. Il cavallo del primo giudice parlò per il primo. - Quando la terra - disse apparterrà ai cavalli ( ed essa apparterrà loro senza fallo un giorno, poiché il cavallo è evidentemente la fine ultima e lo scopo finale della creazione), quando la terra sarà dunque dei cavalli e quando noi saremo liberi di agire a nostra guisa, noi vivremo sotto le leggi come gli uomini e ci prenderemo il piacere d ’ imprigionare, di impiccare e di bastonare i nostri simili.

Noi saremo degli esseri morali. Ciò si riconoscerà dalle prigioni, dalle forche e dal supplizio del palo che noi innalzeremo nelle nostre città. Vi saranno dei cavalli legislatori. Che ne pensi tu, Roussin?

Roussin, che era la cavalcatura del secondo giudice, rispose che secondo lui il cavallo era il re della creazione e che sperava bene che il suo regno sarebbe venuto presto o tardi. - Blanchet, quando noi avremo fabbricato le nostre città - soggiunse poi bisognerà, come tu dici, istituire la polizia di città. Io vorrei che allora le leggi dei cavalli fossero cavalline, cioè favorevoli ai cavalli e a vantaggio esclusivo del bene ippico. Come l’intendi tu, Roussin? - chiese Blanchet. - Io l’intendo come si deve intenderla. Cioè io chiedo che le leggi assicurino a ciascun cavallo la sua parte di profenda e il suo posto in scuderia e che sia permesso a ciascuno di fare all’amore a suo piacimento, durante la stagione. Giacché c’è tempo per tutto. Io voglio infine che le leggi cavalline siano in conformità con la natura. Io spero - rispose Blanchet - che i nostri legislatori penseranno più altamente di te, Roussin. Essi faranno delle leggi sotto l’ispirazione del cavallo celeste che ha creato tutti i cavalli. Esso, il cavallo celeste, è sovranamente buono poiché è sovranamente potente. La potenza e la bontà sono i suoi attributi. Esso ha destinato le sue creature a sopportare il freno, a tirare la cavezza, a sentire gli speroni e a crepare sotto i colpi di frusta o di bastone. Tu parli di amare, compagno: ed esso, il cavallo celeste, ha voluto che molti di noi venissero castrati.

Questo è il suo ordine. E le leggi dovranno mantenere questo ordine adorabile. - Ma sei tu ben certo, amico - chiese Roussin - che questi mali vengano dal cavallo celeste che ci ha creati, e non soltanto dall’uomo, sua creatura inferiore? - Gli uomini sono i ministri e gli angeli del cavallo celeste rispose Blanchet. - La sua volontà è manifesta in tutto ciò che accade. Ma è una buona volontà. Poiché esso ci dà il male, vuol dire che il male è un bene. È necessario dunque che la legge, per essere buona, ci faccia del male. E nell’impero dei cavalli noi saremo costretti e torturati in tutte le maniere, da editti, sentenze, decreti, arresti e ordinanze, per compiacere al cavallo celeste. «Bisogna, Roussin - aggiunse Blanchet bisogna che tu abbia una testa d’onagro per non comprendere che il cavallo è stato messo al mondo per soffrire, e che se non soffre va in senso contrario ai suoi fini e allora il cavallo celeste si allontana dai cavalli felici».

* Racconti utili ( opere da tre soldi per quattro gatti - ed. Imagaenaria Ischia)

la mania pericolosa del magistrato

«ERO PASSATO NEL BELGIO PER SFUGGIRE A UN MAGISTRATO CURIOSO, IL QUALE PRETENDEVA CHE IO AVESSI CONGIURATO CON GLI ANARCHICI. IO NON CONOSCEVO I MIEI COMPLICI E I MIEI COMPLICI NON CONOSCEVANO ME. MA QUESTA NON ERA UNA DIFFICOLTÀ PER QUEL MAGISTRATO, CUI NULLA IMBARAZZAVA, NULLA ISTRUIVA E NONDIMENO FACEVA SEMPRE DELLE ISTRUTTORIE. LA SUA MANIA MI PARVE PERICOLOSA».

i giudici capelluti e barbuti

«QUESTI DUE GIUDICI, CAPELLUTI E BARBUTI, PORTANO, COME I RE DELLE VECCHIE BIBBIE FIAMMINGHE, UN’ACCONCIATURA DEL CAPO BIZZARRA E MAGNIFICA CHE HA A UN TEMPO DEL BERRETTO DA NOTTE E DEL DIADEMA.

LE LORO VESTI DI BROCCATO SONO TUTTE A FIORAMI. IL VECCHIO MAESTRO HA SAPUTO DARE LORO CALMA E DI DOLCEZZA»