Le indiscrezioni sull’interrogatorio del capitano Giampaolo Scafarto stanno aprendo uno scenario inquietante sul modo in cui è stata condotta l’indagine Consip. Nella ormai celebre informativa di reato redatta dall’ufficiale dei Carabinieri, oltre alle già note imprecisioni, omissioni e “riscritture” di parti di intercettazioni telefoniche, c’è un intero capitolo, il numero 17, che pare sia stato suggerito dal pm Henry John Wookcook.

Davanti al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, all’aggiunto Paolo Ielo e al pm Mario Palazzi, Scafarto avrebbe infatti dichiarato che «la necessità di compilare un capitolo specifico, inerente al coinvolgimento di personaggi legati ai servizi segreti, fu a me rappresentata come utile direttamente dal dottor Woodcock che mi disse testualmente: un “al posto vostro farei capitolo autonomo su tali vicende” che io condivisi». Coinvolgimento, poi, rivelatosi totalmente infondato ma che in un primo momento avvalorava la tesi dell’ingerenza dei Servizi in una indagine riguardante il padre dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi.

L’affermazione di Scafarto, oltre ad essere “sorprendente”, alimenta ancora di più la confusione sull’intero procedimento penale, per due aspetti. Un pubblico ministero che suggerisce alla polizia giudiziaria cosa scrivere in una informativa e un ufficiale di polizia giudiziaria che, consapevole del fatto che il coinvolgimento dei Servizi è inesistente, si presta alla scrittura di un falso palese, visto che ciò era già chiaro dalle relazioni di servizio dei suoi dipendenti.

In attesa che si faccia luce sulla figura di Scafarto, quanto emerso in queste ore riporta di attualità la richiesta di apertura pratica da parte del Consigliere del Csm Pierantonio Zanettin ( FI) sulla procura di Napoli.

Consigliere, alla fine aveva ragione lei?

Non si tratta di avere ragione o meno. Dico solamente che già nelle scorse settimane si era capito che a Napoli qualcosa di poco chiaro era accaduto.

Il Csm, però, non ha avuto la sua stessa percezione.

Sul punto devo dire che la decisione del Comitato di presidenza del Csm di non autorizzare l’apertura di una pratica in Prima commissione è stata poco lungimirante.

Cosa avrebbe dovuto fare il Csm?

La delicatezza del tema, che ha sconcertato l’opinione pubblica, avrebbe richiesto un diverso approccio da parte del Csm, proprio a tutela dell’immagine e del prestigio di una magistratura che non si chiude a riccio ma dimostra di avere l’autorevolezza e la serenità necessarie ad affrontare col suo Organo di autogoverno uno dei più controversi casi di interferenza giudiziaria sugli equilibri democratici della storia del Paese.

Si può “correggere” ora?

Io penso che la decisione presa ad aprile debba essere necessariamente rimeditata.

Tornare sui propri passi?

Qui si sta creando molto confusione. Spero non in maniera consapevole. Aprire una pratica in Prima commissione non significa automaticamente disporre il trasferimento per incompatibilità ambientale nei confronti di un magistrato. Ma solo svolgere degli accertamenti per verificare se per qualsiasi causa indipendente da colpa egli non possa, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità.

Solo in caso positivo si attivano le procedure per il trasferimento d’ufficio.

Il procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo, però, ha già aperto un procedimento disciplinare nei confronti di Woodcook.

L’attività del Csm, come ho detto, è diversa. Ciccolo si sta occupando delle dichiarazioni rese alla stampa dal pm napoletano. La Prima commissione, presieduta in questo momento da un consigliere autorevole come Giuseppe Fanfani, avrebbe potuto svolgere un buon lavoro di analisi, come, peraltro, sempre ha fatto in questi anni, magari secretando tutti gli atti per evitare interferenze nelle indagini in un momento delicato come questo.