Fabio De Pasquale è certamente un magistrato di spessore. Ma il parere favorevole alla sua “promozione”, espresso nei giorni scorsi dal Consiglio giudiziario di Milano, poteva anche non essere scontato: il procuratore aggiunto del capoluogo lombardo è stato infatti a lungo al centro delle polemiche (ed è ora a giudizio) per le prove favorevoli agli imputati del processo Eni che avrebbe tenuto “nascoste”.

A essere oggetto di critiche, come ricordato su queste pagine, è stato anche l’Ordine forense milanese: alcuni media hanno inarcato il sopracciglio per la mancata opposizione da parte dell’avvocatura al voto pro-De Pasquale nel “mini Csm” milanese. Ha dovuto provvedere il presidente del Coa, Antonino La Lumia, a ricordare un banalissimo dato di realtà: quando sono in gioco le valutazioni di professionalità dei magistrati, gli avvocati presenti nei Consigli giudiziari non vantano, tuttora, che un mero diritto di tribuna. Si dirà: ma come, e la riforma Cartabia, tanto reclamizzata anche per aver finalmente riconosciuto agli avvocati il diritto di votare sulle carriere dei giudici? Certo, la riforma esiste, ma contiene norme formulate per la gran parte in forma di delega, e ancora non è stata attuata con i necessari decreti legislativi.

Ora, della “legge incompiuta” sull’ordinamento giudiziario si è tornato a parlare alcune settimane fa, quando il termine concesso al governo per l’esercizio della delega è slittato dalla data inizialmente indicata nella riforma, 12 mesi a decorrere dall’approvazione, a al prossimo 31 dicembre. Insomma, per dirla con parole chiare: la norma che attribuisce finalmente, agli avvocati il diritto di votare, nei Consigli giudiziari, anche sulle valutazioni di professionalità dei magistrati ancora non esiste nell’ordinamento. Resterebbe lettera morta qualora il governo non la trasferisse in un testo attuativo. Va detto che, come per molte altre misure contenute nella riforma Cartabia del Csm, si tratta sì di una delega, ma la norma (prevista all’articolo 3, comma 1, lettera a) è ben particolareggiata, e descrive in modo abbastanza compiuto quanto poi dovrà essere sancito nel decreto legislativo. Verrebbe da dire che si tratta solo di attendere.

Ma un pur minino elemento d’incertezza permane. La ragione è semplice: la magistratura associata non ha mai digerito questa apertura ai “laici” dei Consigli giudiziari. Ancora pochi giorni fa la presidente di Uniciost Rossella Marro, in un’intervista al Dubbio, ha associato il voto degli avvocati sulle carriere dei magistrati a rischi di “condizionamento”. Ed è del tutto probabile che l’Anm, sollecitata dalle proprie correnti, insisterà fino all’ultimo affinché la “piccola rivoluzione” dei Consigli giudiziari sia stralciata dai testi attuativi che di qui alla fine dell’anno Carlo Nordio dovrà portare a casa.
Certo, l’opposizione della magistratura associata non condanna di per sé la norma a svanire come una bolla di sapone. Ma le tensioni che rischiano di spigionarsi fra il guardasigilli e le toghe anche (non solo) per questa novità sono destinate a incrociarsi con l’altro grande moloch politico-giudiziario: la separazione delle carriere. Non solo: i due dossier, voto degli avvocati nei Consigli giudiziari e carriere separate, si sovrapporranno, almeno in parte. Lo scorso 21 aprile il viceministro della Giustizia Francesco Palo Sisto ha assicurato ai penalisti nell’evento clou dello “sciopero” proclamato dall’Ucpi, che la legge sul divorzio fra giudici e pm arriverà dopo l’estate. Ne ha parlato dopo essersi confrontato, col punto, con Nordio.

È facile immaginare cosa potrà accadere nel momento in cui il ddl governativo sulla separazione delle carriere prenderà forma e, più o meno contemporaneamente, via Arenula partorirà i diversi attuativi della riforma del Csm: la polemica dell’Anm sul diritto di voto concesso al Foro sarà ancora più aspra.
Non vuol dire che già bisogna prepararsi a veder sacrificata la piccola conquista dei Consigli giudiziari in nome di un equilibrio fra governo e magistrati che diventerà, comunque, sempre più precario. Ma è sicuro che l’iter della riforma sui “mini Csm” sarà tormentato, con alcuni partiti di opposizione, ad esempio i 5 Stelle che, sollecitati magari dai loro parlamentati magistrati come Roberto Scarpinato, potrebbero esprimere un no particolarmente rumoroso. Né è difficile immaginare che i giornali meno garantisti possano schierarsi contro le nuove norme. Certo, il tutto rischia di assumere contorni paradossali, perché le misure sui Consigli giudiziari che Cartabia ha lasciato in eredità a Nordio, sono tutto fuorché una forzatura istituzionale: gli avvocati potranno sì votare contro la “promozione” di un giudice o di un pm, ma dovranno farlo, in forma unanime, su mandato del Consiglio dell’Ordine degli avvocati da cui provengono, in modi da spersonalizzare il giudizio e sottrarlo a ogni sospetto legame con eventuali contrasti che ciascun rappresentante Foro possa aver avuto, in tribunale, con il magistrato “sotto esame”.

Scritta così, come Cartabia appunto l’ha concepita, su suggerimento, tra gli altri, del Pd e anche nel concerto con il Consiglio nazionale forense, difficilmente la norma potrà mai favorire vendette personali. Eppure si può star certi che gran parte della magistratura associata continuerà a evocare la “pericolosa intrusione” del Foro come un pericolo per l’autonomia e l’indipendenza delle toghe. Secondo un fatale contrappasso con le critiche subite nei giorni scorsi dagli avvocati milanesi per non aver fatto scudo con il proprio stesso corpo alla promozione” del pm De Pasquale...