La vicenda disciplinare che ha riguardato la pm dell'antimafia di Palermo Alessia Sinatra, condannata questa settimana con la censura, racchiude molte storie in una. La prima è certamente quella di un magistrato che assume di essere stato vittima di un reato ma non si rivolge ai magistrati - come dovrebbe egli per primo - per chiedere la punizione dell’aggressore, preferendo la strada dei canali punitivi “occulti”. Un comportamento che è stato stigmatizzato dai giudici della sezione disciplinare del Csm. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, è possibile azzardare la previsione che il non aver denunciato la condotta di Giuseppe Creazzo all'epoca dei fatti non sia stato visto di buon occhio.

La seconda storia, invece, è proprio quella dei canali occulti: l’ennesima riprova dell’esistenza di poteri paralleli capaci di pilotare efficacemente le nomine in magistratura, al di fuori di ogni regola, promuovendo i sodali e abbattendo i nemici. Le chat di Luca Palamara sono particolarmente esaustive a tal riguardo, al punto che è stata necessaria una circolare dell'allora procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi per escludere da possibili conseguenze chi si auto sponsorizzava o si faceva sponsorizzare per un incarico o una nomina. L'effetto prodotto dalla circolare Salvi è stato che tutti quelli che si erano rivolti a Palamara sono rimasti tranquillamente al proprio posto. In diversi casi, poi, la Procura generale dall'alto del suo potere senza controllo, ha omesso di procedere disciplinarmente anche in casi eclatanti, come quello di un magistrato che definiva “banditi” e “incapaci” due colleghi che concorrevano per un posto di procuratore.

La terza storia, infine, sta proprio in questa chiara asimmetria tra chi - per chat di contenuto spesso peggiore di quello della pm siciliana - l’ha fatta franca perché ben radicato o addirittura a capo di cordate correntizie. E chi, invece, perduto ogni appoggio, viene punito esemplarmente per un comportamento riprovevole sì, ma forse perdonabile per umana compassione ove appena ci fosse stata più umiltà nel difendersi. Che bilancio trarre? Senza dubbio emerge un’immagine di una magistratura in profonda crisi che non offre molte garanzie. Cosa può pensare, infatti, un cittadino davanti ad un simile quadro? Può continuare, usando quella frase spesso usata a sproposito, ad aver ' fiducia nella magistratura'?. Difficile un atto di fede davanti a realtà del genere. Ma i primi a non avere “fiducia” dei giudici, sono i giudici stessi.

A parte l'episodio toccato alla pm Sinatra, c'è un dato che nessuno racconta: ogni tre nomine fatte, una viene impugnata davanti al giudice amministrativo. I criteri previsti per la nomina dei direttivi fanno sì che i magistrati non proposti non accettino il giudizio del Csm, convinti - a torto o a ragione - di essere “vittime” di un sopruso correntizio. Ecco, quindi, la ricerca della via giudiziaria a tutela del loro preteso buon diritto. In altre parole, dopo il Palamaragate sono sempre meno i magistrati disposti a sentirsi dire di essere meno bravi del collega.

Attualmente sono pendenti, lo ha ricordato il vice presidente del Csm Fabio Pinelli, decine e decine di nomine per incarichi direttivi. Ci sono uffici scoperti da anni. Pare incredibile ma ci sarebbero, lo ha detto sempre Pinelli, uffici che non hanno un dirigente dal 2018. Tutto ciò avviene nell’indifferenza del legislatore che ha approvato lo scorso anno una riforma dell'Ordinamento giudiziario che ha dato ancora più potere alle correnti (su venti componenti togati, ben 19 sono espressioni di gruppi della magistratura associata). Ci sono soluzioni? Una semplice riforma a costo zero era quella del sorteggio temperato dei candidati al Csm. La voleva tutto il centro destra che poi ha fatto marcia indietro. La ministra della Giustizia Marta Cartabia, forse sotto la pressione delle correnti, disse che era anticostituzionale Poi si potrebbe pensare ad una rotazione, con opportuni accorgimenti, negli incarichi direttivi. Si tratta di riforme in grado di restituire alla Giustizia serenità e prestigio e ai cittadini la sicurezza di trovarsi in uffici giudiziari retti da giudici effettivamente terzi ed imparziali la cui nomina non è stata il frutto di compromessi ed accordi opachi.