«Violette, hai ucciso tuo padre, hai ucciso mio marito, ora ucciditi!». Il primo confronto tra Germaine Nozières e la figlia Violette, responsabile dell’omicidio del padre Baptiste è uno straziante dramma familiare che appassiona tutta la Francia, tra i primi fatti di cronaca nera a diventare un caso nazionale alimentato dalla grancassa morbosa di media come Le Temps e Le Petit Parisiens che si rincorrono nel tratteggiare la cupa figura dell’assassina: “il mostro con la gonna”, “l’avvelenatrice”, una moderna Lucrezia Borgia, ma anche “la debosciata dedita al vizio”, “la ragazza lussuriosa e di facili costumi”. Già perché lo stile di vita della 18enne Violette è quanto di più lontano dalla morale pubblica della Francia degli anni trenta, ancora legatissima alla tradizione e alla triade Dio, patria, famiglia.

Parigi, 23 agosto 1933, rue Magadascar, nono arrondissement, Violette rientra in casa dopo l’ennesima, furibonda lite con i genitori. L’aveva fatta grossa, rubando da un cassetto della loro stanza da letto una discreta somma per pagarsi una fuga d’amore con il suo amante Jean Dabin, studente di diritto poco più grande di lei. I toni sono accesi ma per una volta Violette cerca il compromesso, si scusa e propone di riconciliarsi tutti davanti a un bicchiere di vino rosso. Preparando la tavola, al riparo dagli sguardi, aveva versato nella bottiglia una dose letale di Somenal un potente barbiturico che era riuscita a ottenere con una falsa ricetta medica. Baptiste beve tutto il bicchiere in un sorso, Germaine poco meno della metà, dopo pochi minuti stramazzano a terra entrambi. Violette ne approfitta per rubare tutti i contanti presenti in casa ( circa 2500 euro attuali) e se ne va ina sala da ballo con Dabin.

Ritorna a casa due giorni dopo, sicura che nessuno avrebbe cercato i suoi, e organizza una messa in scena aprendo il gas e correndo sconvolta dai vicini per allontanare i sospetti. Quando arrivano i soccorsi il padre e morto ma la madre però respira ancora e viene trasportata all’ospedale Saint Antoine. La polizia si accorge subito che qualcosa non quadra: la quantità di gas nell’appartamento è infatti troppo scarsa per giustificare l’intossicazione mortale. Viene aperta un’inchiesta ma appena due giorni dopo c’è la svolta: Germaine si risveglia dal coma, racconta la sua versione dei fatti e Violette viene accusata di omicidio volontario, aggravato da presunti futili motivi. Lei stessa confessa affermando di aver architettato tutto da sola. La stampa si impossessa immediatamente della vicenda: una giovane donna disinibita, il veleno, il parricidio. Tutti gli ingredienti di un romanzo nero e popolare che appassiona l’opinione pubblica francese.

A condurre le indagini il commissario Marcel Guillaume, una celebrità nazionale, che negli anni della Belle époque era riuscito a sgominare la temibile Banda Bonnot e a far arrestare Henry Landru, serial killer di Versailles. Guillaume non è un poliziotto come gli altri, è un uomo curioso e intelligente, vuole capire cosa ha spinto una ragazza di 18 anni a un gesto così estremo e crudele e durante le interrogatori stabilisce un rapporto confidenziale. Violette si dice non pentita, rivendica l’assassinio del padre e racconta a Guillaume e al giudice istruttore Edmond Lanoire di aver subito dal genitore ripetute violenze e abusi sessuali da quando aveva 12 anni. Racconta inoltre che destava la vita che la sua famiglia le aveva riservato, il divieto di uscire con amici e amiche, di incontrare ragazzi, di frequentare il mondo dello spettacolo e dell’arte che adorava.

A differenza dei giornali che l’accusano senza eccezioni di voler infangare con cinismo la memoria del padre ucciso, Guillaume prende sul serio le parole di Violette, perquisisce la casa dei Nozières dove trova alcune riviste pornografiche, nulla che provi le accuse di stupro, ma nella sua testa si forma la convinzione che la ragazza dice la verità: «È senz’altro colpevole, ma da lei ho percepito un grido di dolore e sincerità e credo che meriti le circostanze attenuanti» , afferma il commissario. Ma per il senso comune Violette è una feroce assassina e una pervertita e l’evocazione dell’incesto è un tabù inaccettabile per la società dell’epoca tutta raccolta nella retorica dei bravi padri di famiglia e delle mamme casalinghe.

Germaine, fatto rarissimo, si costituisce parte civile contro la figlia e il processo segue un copione già scritto, gli avvocati tentano di spiegare quanti gli abusi abbiano sconvolto la psiche della ragazza, che non si tratta di una criminale ma di una bambina, l’accusa però affonda la lama nel burro e non le viene riconosciuta nessuna circostanza attenuante. Il 10 ottobre 1934 Violette Nozières viene condannata alla pena di morte tramite ghigliottina. Il caso è così eclatante che intellettuali come Louis Aragon, scrittori come André Breton o artisti come Salvador Dalì si schierano con la giovane, parte una campagna, minoritaria ma influente, perché le venga risparmiata la vita. Così sarà.

Tre mesi dopo la sentenza la condanna viene tramutata all’ergastolo con lavori forzati. Negli anni 40, nella temperie della seconda guerra mondiale il regime collaborazionista di Vichy la riduce a 12 anni. Ma sarà il generale De Gaulle a concederle la grazia, nel 1945. Nel 1963, tre anni prima della morte per un tumore al seno, avviene la riabilitazione ufficiale da parte della corte d’appello di Rouen che le restituisce una fedina penale immacolata.

La figura di Vilette Nozières è entrata con potenza nell’immaginario collettivo francese del dopoguerra come vittima della violenza patriarcale e la sua fama ha attraversato anche le Alpi. In Italia le resero onore gli Area, il geniale gruppo jazz- prog degli anni 70 guidato da Demetrio Stratos, dedicandole una struggente canzone: Hommage a Violette Nozières.