Ringrazio l’avvocato Zilletti che su queste pagine ( Il Dubbio del 2/ 2/ 2024) ha dedicato attenzione al mio pezzo sul caso Zuncheddu ( Il Dubbio del 31/ 1/ 2024). Un po’ meno lo ringrazio per avermi costretto a rileggerlo alla ricerca dei refusi “concettuali” che potessero spiegare quanto l’avvocato mi attribuisce. Non ne ho trovati.

Ben consapevole che al lettore ovviamente non interessano affatto le mie puntualizzazioni, volentieri le avrei risparmiate a me e a lui, se non fosse che la delicatezza del tema affrontato non può ammettere fraintendimenti.

Se non ho male inteso, secondo l’avvocato io avrei considerato il metodo del contraddittorio nella formazione della prova “colpevole” del tragico epilogo della vicenda Zuncheddu e, sostenendo la necessità di video- registrazioni degli “interrogatori” investigativi, rischierei di “screditarne la valenza euristica”.

Sono da sempre e resto convinto che il contraddittorio tra accusa e difesa dinanzi al giudice sia la più efficace e irrinunciabile levatrice del ricordo, là dove invece il forcipe dell’inquirente durante le indagini ne può comportare la manipolazione. Ciò che provo da qualche tempo a precisare - cercando di far tesoro di quanto la psicologia cognitiva, soprattutto da E. Loftus in poi, ha dimostrato in ordine all’inespugnabilità delle false memorie- è che quando per suggestioni, bluff sulle risultanze delle indagini, esibizioni fotografiche, toni intimidatori, promesse, si insinua nel testimone sentito durante le indagini una “falsa verità”, il contraddittorio dibattimentale quasi sempre ha le armi spuntate, perché è in grado di garantire la sincerità della risposta, non la sua corrispondenza al vero. Anzi, quando un testimone ribadisce con sicurezza e buona fede, nel contraddittorio davanti al giudice, la sua “falsa verità”, questa, paradossalmente, ne esce consolidata ( nel caso Zuncheddu il decisivo teste d’accusa ha sempre confermato la sua versione; per poi spiegare, oggi, “mi ero convinto che fosse la verità”).

Lungi dal ritenere in tal caso il contraddittorio “colpevole”, penso, al contrario, che sia necessario offrirgli un ulteriore strumento affinché possa esplicare tutta la sua capacità maieutica: mettendo a disposizione delle sole parti la videoregistrazione degli “interrogatori” che il teste ha subìto durante le indagini, la difesa avrebbe modo di denunciare, appunto nel contraddittorio davanti al giudice, i condizionamenti che possono aver creato nel teste un falso ricordo e compromesso la sua attendibilità.

Per questo scrivevo che, probabilmente, “se ai giudici che hanno emesso la sentenza contro Zuncheddu la difesa avesse potuto mostrare come era stato più volte esaminato il principale teste d’accusa, avrebbero usato la dovuta diffidenza verso quella memoria insufflata dall’inquirente”. In tal modo il contraddittorio mi sembrerebbe rafforzato e non certo screditato.

L’avvocato Zilletti conclude osservando che “raramente, i pochissimi inquirenti che indulgono in illecite suggestioni, saranno così avventati da farlo sotto l’occhio di una videocamera”.

A prescindere dal fatto che durante le indagini le domande suggestive, pur così deleterie per la rielaborazione del ricordo, non sono illegittime e tantomeno illecite, ciò che avevo capito da qualche lettura in materia è che non abbiamo bisogno di immaginare inquirenti malintenzionati: chiunque di noi - l’avvocato stesso o il sottoscritto - impegnato a cercare le prove di una propria ipotesi soggiacerebbe tendenzialmente a quella tunnel vision che porta a sollecitare e a valorizzare le sole risposte confermative. La possibile contromisura, certo, sarà quella di esercitare lontano dalla telecamera le pressioni meno ortodosse (che di certo, comunque, oggi non lascerebbero traccia in un verbale), ma tali espedienti, ove vigesse un obbligo normativo di videoregistrazione, potrebbero costituire almeno riprovevoli illeciti disciplinari.