Bisogna incrociare due procedimenti diversi per avere contezza della guerra interna agli uffici giudiziari di Milano nell’ultimo scorcio di gestione targata Francesco Greco. Una guerra consumata sulle spalle del processo Eni- Nigeria, passando per la controversa figura dell’ex avvocato esterno di Eni Piero Amara e deflagrata con la scoperta di un passaggio di verbali dal pm Paolo Storari all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo, costato a quest’ultimo una condanna per rivelazione di segreto d’ufficio. Da un lato c’è il disciplinare a carico di Storari davanti al Csm, dove la procura generale della Cassazione lo accusa di aver violato i doveri di correttezza e riserbo, aver assunto comportamenti scorretti e mancato ai doveri d’imparzialità. Dall’altro, il processo a Brescia a carico dei pm Francesco De Pasquale e Sergio Spadaro, accusati di non aver depositato prove favorevoli alle difese del processo Eni Nigeria. In mezzo, come sempre, Amara. Nelle ultime due udienze dei relativi procedimenti, il punto di caduta sembra essere quello relativo a Marco Tremolada, presidente del collegio che ha assolto gli imputati del processo Eni- Nigeria da tutte le accuse e che, secondo quanto riferito da Amara, sarebbe stato “avvicinato” dalle difese del processo, per ottenere un’assoluzione. Una notizia gravissima, ma infondata, ha stabilito poi la procura di Brescia, dove tali dichiarazioni erano state inviate per competenza. Ma per De Pasquale, come riferito il 23 aprile scorso in aula, era «una bomba inesplosa che nessuno ha mai disinnescato in quel processo».

Amara fa le sue dichiarazioni all’aggiunta Laura Pedio e al pm Storari, che lo ascoltano nel fascicolo sul falso complotto Eni. Una storia alla quale, consapevole di non poter raggiungere un accordo come accaduto in altre sedi giudiziarie, decide di aggiungere un nuovo capitolo, quello relativo alla loggia Ungheria, di cui inizia a parlare a fine 2019. E nel fiume di dichiarazioni rilasciate ai due magistrati parla anche del presunto abboccamento di Tremolada da parte delle difese. De Pasquale e Spadaro segnano in giallo i passaggi che vorrebbero depositare nel processo. E c’è anche la parte relativa al presidente del collegio. Quei verbali, però, sono ancora segreti e l’autorizzazione viene negata. Ma tutti sono d’accordo sull’esigenza di inviare la dichiarazione relativa a Tremolada a Brescia. Tranne Storari, per un motivo chiaro: si tratta di informazioni che Amara ha appreso de relato da un avvocato dell’ufficio legale Eni, che lo avrebbe a sua volta saputo de relato. Insomma, potenzialmente chiacchiere. Ma il procuratore Greco - memore dei guai passati da alcuni suoi predecessori, finiti indagati per abuso d’ufficio, ha spiegato giovedì davanti alla sezione disciplinare del Csm - il 4 febbraio 2020 decide di informare i colleghi di Brescia. Lì, a quel punto, viene aperto un fascicolo, che verrà chiuso a stretto giro senza nemmeno sentire Amara. Anche perché la falsità di quelle dichiarazioni era lampante: secondo Amara, Tremolada aveva promesso di assolvere tutti entro marzo 2020. Ma a gennaio di quell’anno aveva stilato un calendario che andava ben oltre quella data, tant’è che la sentenza arriverà l’anno dopo.

Non potendo usare i verbali, il 5 febbraio De Pasquale chiede ai giudici di poter chiamare a testimoniare Amara, per chiedergli, tra le altre cose, se «seppe di interferenze da parte della difesa Eni e di taluni imputati nei confronti di magistrati di uffici giudiziari milanesi con riferimento al processo Opl 245». Tremolada nega l’autorizzazione: quella testimonianza, a suo dire, non serve. E anche il pm Donato Greco, che a Brescia rappresenta l’accusa contro De Pasquale e Spadaro, sembra non capire la ratio: qual era, chiede all’ex procuratore aggiunto De Pasquale, la finalità di ascoltare Amara? Il magistrato risponde,

ma non chiaramente, tant’è che anche il presidente Roberto Spanò interviene più volte per ribadire la questione: cosa voleva ottenere? «Fare tutte quelle domande che purtroppo non gli sono mai state fatte», dice. Eppure la sede per le domande sul possibile coinvolgimento di Tremolada non può essere il processo Eni- Nigeria, ma la procura di Brescia. E siccome l’invito ad astenersi, fa notare Spanò, non esiste, l’unica mossa che De Pasquale poteva fare era ricusare il giudice. Per l’accusatore di Eni, però, le dichiarazioni di Amara «non erano una causa di ricusazione». Circostanza sulla quale Spanò non si trova d’accordo: «Uno che promette un’assoluzione non può essere ricusato?». Proprio così, secondo De Pasquale, secondo cui era necessario che Amara ripetesse quelle circostanze in aula, per poi lasciare a Tremolada - la cui immagine, a quel punto, ne sarebbe uscita offuscata quantomeno mediaticamente - la scelta sul da farsi. Un ragionamento che non convince il pm Greco: quelle dichiarazioni erano potenzialmente notizia di reato e trattarle in quel modo avrebbe comportato una rivelazione di segreto.

De Pasquale, nel corso del processo a suo carico, ammette di aver pensato - e detto - che il collegio era forse «un filino» appiattito, dal momento che «c’erano state delle decisioni che si erano sembrate un po’ troppo pro difese». Ma niente di più, tant’è che «non ho mai pensato che il collega fosse corrotto». Il punto, però, è che Tremolada fu l’unico, a fronte delle tante circostanze raccontate da Amara, per il quale si agì, inviando gli atti a Brescia. E ciò nonostante, stando a quanto dichiarato dall’ex procuratore Greco davanti al Csm, non fosse da ritenere credibile. «Sono stato io a dire all’avvocato ( di Amara, ndr) “non se ne parla proprio di patteggiare” e francamente è una persona di cui ho sempre diffidato e meno male che ho diffidato perché tutta la storia Ungheria, oggi, sono sessanta i capi d’imputazione di calunnia», spiega a domanda dell’avvocato Paolo Della Sala, difensore di Storari. Ciononostante, afferma, per non essere accusato di negligenza, invia gli atti su Tremolada a Brescia. A distanza di mesi, però: nonostante le dichiarazioni di Amara sul giudice risalgano a dicembre 2019, l’invioavviene solo a febbraio 2020. «Ho chiesto ai colleghi, dopo il primo interrogatorio, di risentirlo sul punto - spiega Greco -, perché non mi convinceva quello che ha detto Amara. Ed era un classico di Amara, perché lui quando vuole accusare qualcuno lo fa sempre de relato per evitare di essere accusato di calunnia». «Venne approfondita questa sua richiesta?», chiede dunque Della Sala. Stando alle dichiarazioni di Greco, ci furono altri interrogatori. Ma di quali interrogatori si tratta «non lo so, francamente». E tra i verbali, da quanto appreso, l’unico su Tremolada rimane quello di dicembre.

Sulla credibilità di Amara a concordare è anche l’aggiunta Laura Pedio, anche lei sentita come testimone giovedì dal Csm: «Il materiale che ci offriva Amara era fumoso», spiega. Una situazione «delicata», «complicata, perché i nomi erano tanti, erano nomi rilevanti, ma soprattutto c’era un narrato molto, molto sfilacciato, molto sfumato». Dichiarazioni che fanno eco a quelle di Greco: Amara non ha mai saputo offrire un riscontro alle sue parole. Perché avrebbe dovuto avere ragione su Tremolada?