Sono oltre 100 gli esponenti e le organizzazioni della società civile che hanno lanciato il giorno prima che se ne discutesse in Parlamento un appello contro la norma prevista dal disegno di legge e sicurezza che si traduce nella impossibilità per le donne incinte di veder nascere i propri bambini in libertà fuori dal carcere. L’appello, dichiara Grazia Zuffa, presidente della Società della Ragione, rilancia i contenuti della campagna “Madri fuori dallo stigma e dal carcere insieme ai loro bambini”, che due anni fa ha organizzato una mobilitazione in tutta Italia a difesa dei diritti delle donne e dei figli. Negli anni passati si era cercato di avallare questo principio attraverso una normativa e vi furono proposte di legge, come quella presentata dall’onorevole Siani e poi ripresentata dall’onorevole Serracchiani. Entrambe queste proposte di legge furono poi ritirate per gli emendamenti presentati dalla maggioranza che andavano in tutt’altra direzione fino al punto di togliere la potestà genitoriale alle donne condannate in via definitiva e considerate “madri indegne” per il fatto di aver compiuto un reato. A seguito di ciò vi fu una coalizione di forze democratiche portate a dar vita a quella che già abbiamo menzionato come campagna “Madri fuori dallo stigma e dal carcere, con i loro bambini”. Si pensava che si potesse, anche tramite questo problema concernente i nati, arrivare a una seria riforma delle strutture carcerarie.

Tutto ciò non è avvenuto e tutto ciò è servito a poco, considerato che il ddl recante Disposizione in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario, è stato in questi giorni posto in discussione, unitamente anche a diversi emendamenti, e in questa occasione è stato approvato l’articolo 15 che rende meramente facoltativo - e non più obbligatorio - il rinvio della pena per le neo- madri detenute. L’eventuale differimento della carcerazione - quando il ddl sarà approvato definitivamente anche al Senato - sarà esaminato caso per caso dai giudici. Il rinvio diventerebbe facoltativo e non avverrebbe ove sussista il rischio di commissione di ulteriori reati: in tal caso, la detenuta madre rimarrebbe in prigione, in un istituto a Custodia Attenuata ( Icam). Sulle neo- madri detenute la maggioranza ha bocciato con voto segreto gli emendamenti delle opposizioni, approvando quello di Forza Italia che prevede una relazione annuale del governo sull’attuazione delle misure cautelari sulle detenute incinte e con figli di età inferiore a tre anni. Al termine delle votazioni le opposizioni hanno alzato cartelli con su scritto: “Fuori i bambini dalle sbarre”. Ettore Rosato ( Azione) ha dichiarato che «la norma è una pesantissima regressione culturale sulla giustizia». Per Matteo Richetti ( Azione) «la norma sulle detenute madri cambia radicalmente un principio che due anni fa in quest’aula ha visto solo 7 voti contrari, la legge Siani, che diceva mai più un bambino in carcere, e cosa è cambiato? È cambiata la convinzione che non sia sbagliato mandare in carcere una donna incinta con figli minori piccoli?». Michela Di Biase ( Pd) osserva che «votando contro l’emendamento

che prevedeva di mantenere la sospensione della pena per le donne incinte e le detenute madri Forza Italia ha barattato l’interesse superiore dei minori previsto dal diritto internazionale con la tenuta del governo...».

Anche il presidente dell’Unione Camere penali italiane, Francesco Petrelli, nella sua audizione aveva demolito il ddl sostenendo che questo conteneva pene altissime, nuovi reati, criminalizzazione del dissenso e del disagio sociale, fattispecie evanescenti e dubbi di incostituzionalità. Con chiarezza aveva detto: «Su tutto c’è qualcosa che i penalisti non possono accettare: la possibilità di mandare in carcere le donne incinte. Un passo indietro persino rispetto al vituperato codice Rocco che dovrebbe essere il parametro di un codice autoritario». Ma ora si fa peggio, dice Petrelli a La Stampa, se si considera che gli istituti a custodia attenuata per detenute madri sono appena 5 in tutta Italia e finirà che le donne in attesa di partorire andranno in carceri normali. È inaccettabile che una donna con un neonato o una puerpera possa stare in una cella dove le condizioni igieniche fanno pena, senza assistenza psicologica, in realtà sovraffollate. Non è da “Stato di diritto”. Zuffa a sua volta evidenzia che «la norma che prevede che il rinvio della pena per le donne incinte non sia più obbligatorio viola la Costituzione e le convenzioni internazionali».

Certamente disposizioni in merito alle madri appaiono in netto contrasto anche con quanto previsto dalle regole penitenziarie europee secondo cui le detenute devono essere autorizzate a partorire fuori dal carcere a difesa dei bambini. L’Oms ribadisce il principio secondo cui un neonato sano deve rimanere con la propria madre. Invece il governo italiano vuole privare il bambino del diritto di venire alla luce fuori dalla galera, declassificandolo a concessione discrezionale. Inoltre, questa disputa legislativa ed etica sembra non dover tener conto della realtà del carcere: le prigioni non sono luoghi dove il diritto del minore possa essere realmente tutelato e basterebbe in tal senso pensare al diritto alla salute che non è pienamente esigibile, anche per la carenza del personale sanitario ed educativo. Possiamo concludere questo breve resoconto, citando le parole di Denise Amerini ( Cgil nazionale, responsabile carcere e dipendenze): «Alle donne deve essere garantita la possibilità di essere madri nel modo migliore possibile, creando tutte le condizioni per una genitorialità serena. Ai bambini deve essere garantito il diritto ad un’infanzia dignitosa, libera... Le carceri non sono luoghi per bambini, costretti comunque a vedere il cielo attraverso le sbarre».